Artikel
Zuwanderung
20.01.2006
Discorso del consigliere federale Christoph Blocher in occasione della 18esima Assemblea dell’Albisgüetli dell’UDC zurighese, il 20 gennaio 2006 nella Schützenhaus Albisgüetli, Zurigo
20.01.2006, Zurigo
Zurigo, 20.01.2006. All’Assemblea dell’Albisgüetli di quest’anno, il consigliere federale Christoph Blocher parlò di tre oggetti che concernono intimamente la nostra concezione statale: la nuova legge sugli stranieri, la riveduta legge sull’asilo e la Swisscom. Rivolse inoltre agli astanti l’appello di sostenere gli oggetti con tre sì nell’interesse del Paese e del popolo, ma anche nell’interesse di una politica responsabile.
Dichiarazione del Consigliere federale Christoph Blocher dal 29 marzo 2006 in merito al clamore suscitato dal discorso dell'Albisgüetli 2006 : «Vorrei fare una precisazione in merito a un breve passaggio del mio discorso dell’Albisgüetli 2006. Il testo scritto definisce correttamente due cittadini albanesi come imputati di gravi reati. Nella versione orale, in un solo punto, ho parlato di criminali anziché di presunti criminali. È un errore di cui mi rammarico. Si è trattato di un puro e semplice lapsus. Non è mai stata mia intenzione dare a intendere che gli albanesi in questione fossero criminali condannati.»
I. L’Assemblea dell’Albisgüetli
Quasi vent’anni fa, quando fu inaugurata la prima Assemblea dell’Albisgüetli, i fondatori non pensarono certo che questa manifestazione politica avrebbe raggiunto una tale risonanza in Svizzera. Molti furono gli scettici: si immaginarono con ribrezzo manifestazioni elettorali dove a volte i politici che salgono sul podio sono più numerosi delle persone che ascoltano.
Ma le cose sono andate diversamente: oggi l’Assemblea dell’Albisgüetli è un’istituzione politica nel senso migliore del termine, conosciuta in tutta la Svizzera. Anche quest’anno può vantarsi, secondo quanto mi hanno comunicato gli organizzatori, di aver venduto tutti i 1’400 posti a sedere già il primo giorno, nonostante il prezzo d’entrata di settanta franchi.
II. Gli auspici del popolo e del Paese al centro dell’interesse
Cosa serve al Paese e al popolo? Cosa preoccupa le cittadine e i cittadini? Cosa si aspettano a buon diritto le persone dalla politica? Dobbiamo continuamente porci queste domande.
Dopo il crollo degli Stati socialisti oggi sappiamo che la politica socialista distrugge il benessere e l’occupazione. Ma sappiamo anche che il socialismo è un dolce veleno e che si sta diffondendo di nuovo in modo strisciante. Anche negli Stati industriali occidentali. Anche in Svizzera. Il socialismo è il contrario della responsabilità privata e dell’iniziativa privata. È d’impedimento all’economia e distrugge posti di lavoro. Ecco perché la politica regolamentare è così importante: meno regolamenti, meno imposte, meno tasse ed emolumenti! Questo deve essere sempre al centro dell’attenzione. Lottate fermamente contro il bilancio statale strabordante e le sue conseguenze. Gli interventi statali significano sempre maggiori imposte e tasse e dunque sono la causa principale dello smantellamento di posti di lavoro.
Cosa desiderano le Svizzere e gli Svizzeri dalla politica? Ad esempio la sicurezza. In strada. A scuola.
Chiedono anche la fine dell’immigrazione illegale e degli abusi onnipresenti nella nostra politica d’asilo iperburocratizzata. Vogliono essere protetti contro la criminalità che ne consegue.
Le aziende, le piccole e medie imprese, scricchiolano sotto il peso degli oneri statali, dei regolamenti, delle imposte e delle tasse. Abbiamo posto tutti questi problemi e preoccupazioni al centro della nostra politica.
Che si tratti di noi Consiglieri federali, di altri politici o di voi come partito politico, ognuno, al suo posto e a modo suo, ha l’obbligo di servire il popolo e il Paese.
Poiché l’Albisgüetli è una manifestazione che si svolge sempre all’inizio dell’anno, siamo obbligati a guardare al futuro. Signore e Signori, rispettando la tradizione, voglio anch’io chiedere: in questo nuovo anno cosa ci occuperà più di tutto?
Al centro della discussione politica dovrebbero esserci essenzialmente due grandi temi: il primo riguarda la nuova legge sugli stranieri e la riveduta legge sull’asilo, il secondo la privatizzazione di Swisscom. Per tutti gli oggetti è annunciato un referendum. Tutti gli oggetti scateneranno grandi discussioni di principio.
III. La nuova legge sugli stranieri
Da anni, la politica dell’asilo e degli stranieri preoccupa le Svizzere e gli Svizzeri. La pietra dello scandalo non è costituita né dai numerosi lavoratori stranieri che hanno ottenuto regolarmente un permesso di dimora in Svizzera né dall’ammissione dei rifugiati veri:
No, è costituita da tutti coloro che soggiornano ingiustificatamente o addirittura illegalmente nel nostro Paese, con gravi oneri per Confederazione, Cantoni e Comuni. Tempo, forza e denaro vengono sprecati. Autorità, tribunali, servizi sociali sono inutilmente oberati. Questo deve cambiare.
È compito di ciascuno Stato provvedere ai propri cittadini. Per questo oggi ogni Governo su questa terra decide quando gli stranieri ricevono un permesso di dimora – e anche quando no. Con un‘aliquota di stranieri del 21,7 per cento (fine 2004) la Svizzera presenta una delle maggiori aliquote di stranieri fra gli Stati dell’Europa occidentale! Ciononostante il nostro Paese non conosce periferie simili a ghetti con eccessi di violenza e interventi xenofobi. Lo dobbiamo soprattutto a un’economia funzionante che riesce a dare occupazione a così tante persone e quindi anche a integrarle. Nonostante l’elevata aliquota di stranieri, negli ultimi anni la disoccupazione in Svizzera è rimasta una delle più basse a livello europeo.
D’altro canto il livello salariale e il potere d’acquisto si mantengono fra i più elevati al mondo. A questo eccezionale bilancio ha contribuito la severa normativa riguardante gli stranieri, collaudata sin dagli anni 70, che dava la preferenza alla manodopera indigena e, segnatamente in periodo di surriscaldamento economico, limitava il numero massimo delle nuove forze lavorative straniere.
Dopo l’accettazione della libera circolazione delle persone con gli Stati UE, e una volta scaduta la speciale clausola protettiva, i cittadini UE saranno ampiamente parificati agli Svizzeri per quanto concerne il mercato del lavoro. Le conseguenze di questa libera circolazione delle persone sono ancora incerte. Le opportunità e i rischi sono stati esposti durante la lotta elettorale.
Quest’anno voteremo su una nuova legge sugli stranieri. In sostanza la legge disciplinerà le condizioni alle quali i cittadini non europei possono chiedere un permesso di lavoro e i presupposti per far valere il ricongiungimento familiare. Inoltre, con nuovi disciplinamenti si lotterà contro l’entrata illegale e la dimora illegale degli stranieri.
Ovviamente a ciascuno dovrebbe essere comprensibile che la Svizzera non può aprire le frontiere alle persone di tutto il mondo.
Con la generosissima soluzione nei confronti dei cittadini dell’UE (in teoria hanno la possibilità di vivere e lavorare da noi 450 milioni di persone) risulta evidente che una totale apertura delle frontiere a tutti gli Stati del mondo non è possibile, anche se il partito socialista e i Verdi lo vogliono. Ecco perché respingono la nuova legge sugli stranieri. Auspicano una libera circolazione totale delle persone, ma una siffatta apertura globale farebbe collassare il nostro intero sistema sociale.
L’UDC, insieme con la maggioranza del PRL e del PPD, ha elaborato in proposito una soluzione responsabile: il permesso di lavoro ai cittadini dei Paesi extraeuropei deve essere estremamente restrittivo e limitato soprattutto alle persone altamente qualificate e agli specialisti.
IV. La riveduta legge sull’asilo
Vi è un altro settore disciplinato dalla riveduta legge sull’asilo che sarà parimenti sottoposta in votazione.
La Svizzera non ha mai rilasciato un permesso di dimora soltanto alle persone di cui il nostro mercato del lavoro aveva bisogno. Abbiamo sempre accettato anche coloro che erano perseguitati nel loro Paese. Ovviamente per questa gente non esistevano ancora prestazioni sociali o altri aiuti elargiti dallo Stato. Hanno comunque potuto entrare in Svizzera, farsi ospitare da privati per poi divenire rapidamente autonomi. Cito ad esempio tutti i rifugiati religiosi del periodo della Riforma come gli Ugonotti. Si trattava di gente intraprendente. Ad essi si devono interi settori industriali della Svizzera.
Un altro esempio: nel 1871 trovarono ospitalità in Svizzera 87'000 soldati dello sconfitto esercito di Bourbaki. In tre giorni il numero degli abitanti della Svizzera è cresciuto del tre per cento!
Anche durante la Seconda guerra mondiale la Svizzera ha offerto protezione ai perseguitati. Nonostante l’insufficienza delle autorità, durante la guerra nessuno Stato al mondo ha ospitato pro capite più rifugiati della Svizzera.
Più tardi arrivarono anche quelli provenienti dagli Stati comunisti. Mi riferisco agli Ungheresi che trovarono rifugio in Svizzera 50 anni fa.
Anche oggi la Svizzera ammette annualmente circa 1'500 rifugiati perseguitati e concede l’ammissione provvisoria a circa 4'000 persone realmente minacciate. Nessuno mette in discussione la nostra tradizione umanitaria nei confronti dei rifugiati. E così deve continuare.
Ma, Signore e Signori, ciò che non abbiamo ancora risolto sono gli enormi abusi perpetrati nel settore dell’asilo. Oltre l’85 per cento di tutti i richiedenti l’asilo non sono rifugiati politici. Numerosi di essi desiderano semplicemente approfittare dell’elevato standard di vita svizzero.
Vivono di aiuti sociali e non raramente sono coinvolti in remunerativi affari di passatori, nella criminalità organizzata e in particolare nel traffico di stupefacenti. Questo non è nient’altro che abuso del diritto d’asilo.
Fino a due anni fa, questi abusi sono stati semplicemente messi in discussione da numerosi politici – e ancora oggi esistono delle cerchie che cercano di negare o respingere questa scomoda realtà.
Questi problemi vanno tuttavia affrontati seriamente se vogliamo salvaguardare la nostra tradizione umanitaria nei confronti dei rifugiati. I primi successi sono già stati ottenuti grazie a una prassi conseguente. Il numero delle nuove domande d’asilo nello scorso anno è calato di oltre il 29 per cento, quindi in misura maggiore rispetto ad altri Stati equiparabili dell’UE. Ma nella procedura d’esecuzione l’effettivo è ancora troppo elevato. La riduzione già raggiunta, anch’essa più o meno pari al 29 per cento, non è ancora sufficiente. Il problema principale è che il maggior numero dei richiedenti l’asilo si presenta senza documenti di viaggio validi.
Nella maggioranza dei casi, a essere senza documenti non sono i rifugiati veri, la cui vita è effettivamente in pericolo, ma sono soprattutto quelli che non hanno validi motivi per chiedere l’asilo. Spesso hanno nascosto, gettato o distrutto il loro passaporto. Perché?
Perché con la procedura vigente per l’ottenimento dell’asilo chi nasconde o distrugge i propri documenti è avvantaggiato nei confronti di chi si comporta correttamente e li presenta. Se non si entra nel merito di una domanda d’asilo o questa viene respinta dopo un esame materiale, l’interessato rimane spesso nel nostro Paese poiché di regola non rientra in Patria volontariamente e le autorità non lo possono rimpatriare per mancanza dei documenti.
La colpa non è di quelli che sfruttano questo sistema, bensì di quelli che lo mettono a disposizione!
Signore e Signori, senza modificare la legge non è possibile rendere credibile l’esigenza politica “Protezione dei rifugiati – diminuzione degli abusi”.
Per questo dobbiamo modificare le basi legali. Per questo la nuova legge recita:
Art. 32 cpv. 2 lett. a nonché cpv. 3 LAsi
2 Non si entra nel merito di una domanda d’asilo se il richiedente:
1. non consegna alle autorità alcun documento di viaggio o d’identità entro 48 ore
dalla presentazione della domanda;
3 Il capoverso 2 lettera a non si applica se:
1. il richiedente può rendere verosimile di non essere in grado, per motivi scusabili, di consegnare documenti di viaggio o d’identità entro 48 ore dalla presentazione della domanda;
2. la qualità di rifugiato è accertata in base all’audizione, nonché in base agli arti
coli 3 e 7; o
3. l’audizione rileva che sono necessari ulteriori chiarimenti per accertare la qualità
di rifugiato o l’esistenza di un impedimento all’esecuzione dell’allontanamento.
Come vedete: anche i richiedenti l’asilo che non posseggono documenti possono, anche in futuro, essere ammessi come rifugiati. Ma la distruzione dei documenti non deve più permettere di conseguire un vantaggio!
È veramente pretendere troppo che qualcuno – rifugiato o no – dica come si chiama e da dove viene? In che modo questo dovrebbe infrangere la „tradizione umanitaria“? Non si tratta di andare contro i rifugiati veri, ma contro i richiedenti che giungono nel nostro Paese senza validi motivi per chiedere l’asilo e che, su consiglio dei passatori, distruggono, nascondono o non presentano intenzionalmente i propri documenti. Di persone che falsificano o occultano il loro nome, il loro domicilio, la loro Patria o la loro età.
Gentili Signore, egregi Signori, anche la legge sull’asilo riveduta salvaguarda e garantisce ovviamente la protezione dei rifugiati veri nel nostro Paese, ma altrettanto decisamente intende eliminare gli abusi eclatanti nel settore dell’asilo. Solamente con questa combinazione otteniamo una politica sostenibile e credibile in materia di rifugiati.
Tutti voi conoscete esempi particolarmente eloquenti riferiti dai massmedia.
Come il caso della famiglia rom di Rüschlikon. Ripetuti gravi atti di violenza, costi per milioni di franchi, decisione negativa in merito all’asilo – e ciononostante la famiglia vive sempre qui. Ma perché? Questo caso è stato pendente per anni presso la Commissione di ricorso in materia d’asilo. L’avete sentito; questa settimana si è finalmente deciso. Il capofamiglia e il figlio maggiorenne devono lasciare la Svizzera, gli altri possono, per il momento, restare. La Commissione di ricorso in materia d’asilo è una così detta commissione “autonoma”. Significa che decide „in modo indipendente“ e pertanto è impossibile gettare un’occhiata fra le carte. È bene che adesso vi sia una sentenza, ma è naturalmente meno bene che ci sia voluto così tanto tempo.
Dal 2007 la Commissione di ricorso in materia d’asilo farà parte del Tribunale amministrativo federale. Speriamo che questo nuovo tribunale pensi, oltre che alla responsabilità giuridica, anche alle conseguenze per il nostro Paese di decisioni continuamente rinviate.
V. Sul luogo del non evento
Come imprenditore, mi sono abituato a seguire le faccende della vita quotidiana. Ogni tanto faccio visita anche agli uffici distaccati e ai centri di registrazione, a quei luoghi insomma dove arrivano i richiedenti l’asilo e vengono fatti i primi chiarimenti.
Ogni volta mi preoccupo di spuntare inatteso. Un anno fa mi recai all’alloggio per richiedenti l’asilo dell’aeroporto di Zurigo. La direttrice mi guardò visibilmente sorpresa perché lì non è usuale la visita di un consigliere federale. Normalmente non vi si reca nessun ministro di giustizia. Chiesi alla signora come andava. Inizialmente mi diede una risposta vaga e io insistetti nel chiedere se avesse troppo da fare. La donna riteneva di no: „Negli ultimi giorni abbiamo registrato effettivamente poche nuove entrate.“ – „Non ha bisogno di essere così afflitta“, le risposi, „non sono affatto cattive notizie.“ Ma poi aggiunse che proprio quella mattina erano arrivati sette Tamil che ne avevano annunciati altri sei per il lunedì successivo. „Sì, ma arrivano ancora Tamil? E perché?“
Per quanto ne so, attualmente nello Sri Lanka non vi sono persecuzioni politiche. La donna disse che anche lei non ne conosceva le ragioni esatte. In ogni caso i sette richiedenti l’asilo si trovavano insieme al primo piano per un interrogatorio. Era un po’ prima di mezzogiorno, salii le scale e mi recai inatteso nell’apposita stanza.
I sette uomini avevano già lasciato la stanza, ma i collaboratori erano ancora lì. Parlai con loro e chiesi da dove venivano esattamente i sette uomini. „Con un volo da Colombo a Varsavia e oggi sono atterrati in Svizzera con la Swiss. Tutti e sette senza documenti.“ – „Senza documenti? Ma come hanno potuto volare? In Polonia avranno ben avuto i documenti per cambiare aereo.“ Entrò in quel momento un uomo dalla stanza accanto e mostrò una ciotola piena di passaporti ridotti in pezzetti. Chiesi: „Come ha avuto questi documenti?“ – „Ce li ha portati una donna della pulizia dei gabinetti in aeroporto“. Ritenevano ragionevolmente che i giovani dovessero senza indugio ritornare con un volo a Colombo. Il responsabile della polizia che mi stava accanto disse che non era una faccenda di cui preoccuparsi, anche le autorità avrebbero senz’altro riammesso le persone, sebbene senza passaporti; ma l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati non avrebbe mai approvato un rimpatrio immediato. Ciascun richiedente deve dapprima essere trasferito in un centro di registrazione dove si svolge la procedura ordinaria per l’ottenimento dell’asilo. Uno dei presenti aggiunse che questa prassi avrebbe fatto sì che i sette uomini sarebbero rimasti lì per mesi, benché non fossero rifugiati.
Chiesi dove soggiornavano in quel momento i Tamil. Si erano appena recati in dormitorio. „Posso vederli?“ Mi risposero di sì e, accompagnato dal mio usciere nella sua regolare uniforme verde, salii al dormitorio. Non appena aprimmo la porta, tutti e sette si alzarono immediatamente dal loro giaciglio per mettersi in rango come giovani soldati poiché supponevano che l’usciere fosse un poliziotto. Giovani aitanti, probabilmente anche diligenti. Chiesi se parlassero un po’ l’inglese. Il primo annuì. Gli chiesi da dove venissero e mi rispose da Colombo. Volli poi informarmi sul perché si fossero rifugiati in Svizzera. Tutti e sette si misero a gridare: "Tsunami, Tsunami, Tsunami". Interessante, pensai, ma lo Tsunami ha investito la costa orientale dello Sri Lanka e Colombo si trova esattamente dall’altra parte. Se gente proveniente da Colombo chiede asilo a causa dello Tsunami è altrettanto assurdo come se dopo un’inondazione nel Canton Ticino, un abitante dell’Altipiano zurighese annuncia un sinistro alla propria assicurazione. Quando spiegai al gruppo l’assurdità della risposta, nessuno di loro sapeva più l’inglese…
Nel corso dell’anno ho seguito l’evoluzione di questa domanda d’asilo in quanto ero interessato a vedere i risultati concreti di un sì evidente abuso: per sei di questi richiedenti l’asilo le procedure sono chiuse. La domanda d’asilo è stata respinta. Per il settimo è ancora pendente un ricorso presso la CRA. Di per sé la rapidità procedurale sarebbe da ritenere un successo. Quelli che hanno ricevuto risposta negativa nel frattempo si sono però dileguati, per cui non abbiamo potuto rimpatriarli nello Sri Lanka.
Signore e Signori, questi e analoghi fatti succedono quotidianamente. Migliaia all’anno. Circa 50'000 persone hanno la procedura d’asilo in corso. L’anno scorso oltre 10'000 persone hanno presentato una nuova domanda d’asilo. 1'497 di loro, ovvero il 13,6 per cento hanno ottenuto lo statuto di rifugiato, altre 4'436 sono state ammesse provvisoriamente. Tutte le altre devono lasciare il nostro Paese. E il più presto possibile.
Oggi non ci sono basi legali sufficienti per impedire siffatti giri a vuoto e per consentire in avvenire interventi più efficaci. Tuttavia il nostro ordinamento giuridico non deve offrire nessuna piattaforma a tali abusi e inconvenienti sistematici. Oltre a una burocrazia insensata, la legislazione vigente comporta anche un enorme onere finanziario a carico della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni e quindi della popolazione. Se rapportiamo i costi totali nel settore dell’asilo al numero dei rifugiati riconosciuti, ogni rifugiato legale costa circa un milione di franchi. È „umanitario“? È intelligente? La popolazione è ancora disposta a sopportarlo?
Anche i più recenti casi dettagliatamente illustrati dalla stampa devono condurre ad altre soluzioni. Ecco un ultimo esempio: due Albanesi ricercati sul piano internazionale presentarono nel 2004 una domanda d’asilo. A uno si imputavano quindici aggressioni, l’assassinio di due persone e il rapimento di un bambino. Inoltre avrebbe partecipato a diversi attentati mortali. L’altro era sospettato di aver partecipato comunque a cinque rapine.
L’Ufficio federale dei rifugiati decise senza indugio di respingere le domande d’asilo. L’Ufficio federale di giustizia decise – dopo regolare riesame delle accuse – l’estradizione dei due Albanesi.
Un caso chiaro? Sì.
Ma non per la Commissione di ricorso in materia d’asilo che accoglie il ricorso dei due Albanesi: ad entrambi è accordato l’asilo. In tal modo due imputati per gravi crimini diventano due rifugiati. Per completare la storia, aggiungo che la decisione era di ultima istanza in quanto anche il Tribunale federale decise la loro liberazione risarcendo loro i costi per avvocati, interpreti e traduttori e riconoscendo loro anche un risarcimento per la detenzione. Anche se la riveduta legge sull’asilo è approvata dal popolo, il nostro lavoro continua in quanto permangono ancora alcune lacune nel diritto d’asilo, come evidenziato da questo esempio.
VI. Date allo Stato quel che è dello Stato
Nel 2006, oltre che delle leggi sull’asilo e sugli stranieri, ci occuperemo anche di un oggetto di tutt’altro tipo. Si tratta di sapere fino a che punto un’impresa dell’economia di mercato è in grado di sopportare l’intervento statale o meglio se lo Stato, quale imprenditore nell’economia di mercato, è in grado di recepire la propria responsabilità. Parlo in particolare di Swisscom e quindi di un’azienda apparentemente privatizzata che appartiene per due terzi alla Confederazione.
Nel mese di novembre, la Swisscom stava per rilevare una società Telecom irlandese, cosa che indusse il Consiglio federale a prendere alcune decisioni fondamentali. Esso era del parere che un impegno estero di questa portata comportava troppi rischi ed inoltre seguiva una strategia errata. Inoltre ha imposto alla Swisscom di versare agli azionisti il capitale eccedentario. Con ciò sarebbero venuti a mancare i capitali per tentare siffatte avventure. Infine, terzo passo, il Consiglio federale presenterà tosto al Parlamento un progetto inteso a promuovere la dissociazione fra lo Stato e la Swisscom.
Come impresa privata o privatizzata, Swisscom può agire liberamente. Il servizio universale è garantito per legge.
Qui i parallelismi con la ex-SWISSAIR sono evidenti. Anche Swisscom, come la ex-SWISSAIR, proviene da un mercato più o meno regolato. Questo mercato indigeno sinora protetto incomincia a cedere e non cresce più. I ricavi ci sono ancora. Il successo appare ancora sicuro. Ma la ditta ristagna nel proprio territorio ormai saturo. E arriva la tentazione di acquisire imprese all’estero. La ditta diventa sì più grande, ma i problemi rimangono i medesimi. Anzi, i rischi aumentano poiché le imprese di telecomunicazione estere soffrono degli stessi mali: anch’esse non possono più crescere, anch’esse sono messe in difficoltà dalle nuove tecnologie di comunicazione e da altri concorrenti. Se acquistate un’impresa con problemi uguali a quelli della vostra impresa e pensate di aver così trovato la soluzione equivale, vi sbagliate di grosso: è come credere nei miracoli. Meno moltiplicato per meno dà più soltanto nel mondo astratto della matematica. Nel mondo degli affari significa il tracollo.
Già dieci anni fa la Swisscom cercò di stabilirsi all’estero, fallendo però ogni volta: in India, Malaysia, Cechia, Ungheria e Austria. Con la tedesca Debitel, la direzione dell’impresa perse addirittura 3,3 miliardi di franchi. Invece di mutare strategia si cercò di mirare a una fusione con la Tele Austria austriaca. Per fortuna tutto naufragò già prima della firma. Ora dovrebbe improvvisamente essere la volta dell’iperindebitata Eircom, rispettivamente della società danese TDC.
Il 23 novembre 2005 il Consiglio federale ha preso un’importante decisione vietando di seguire questa via. Fin quando lo Stato è proprietario di maggioranza, la Swisscom non potrà più assumere siffatti rischi. La responsabilità verso il popolo non lo permette! Decisioni sbagliate e insuccessi all’estero non soltanto provocherebbero una crisi dell’impresa, ma anche dello Stato. Infatti la Svizzera non dovrebbe soltanto rispondere come azionista normale, ma come azionista maggioritaria e come Stato sarebbe tenuta a una ben maggiore responsabilità.
VII. Le imprese dell’economia di mercato non devono essere di proprietà dello Stato
Nella libera concorrenza, lo Stato non può essere presente come impresa. Fondamentalmente sarebbe il proprietario sbagliato. Questo a maggior ragione quando il tutto è vincolato a un’attività internazionale e quindi comportante maggiori rischi. Non può essere compito dello Stato svizzero garantire il servizio pubblico in Cechia, Ungheria, Austria, Malaysia, India e poi anche in Irlanda e Danimarca. Sarebbe come se la Televisione svizzera tedesca si espandesse all’estero e programmasse „Samschtig Jass“ in Irlanda e Malaysia per poi sopportare siffatto fallimento ricorrendo alle vostre tasse.
Il Consiglio federale è un’autorità politica e non è eletto per guidare un’impresa. Ciononostante è responsabile delle imprese che appartengono allo Stato. Tale responsabilità non può essere disattesa, nemmeno per incapacità, timore o trascuratezza. Perciò il Consiglio federale ha deciso, invero tardi, ma ancora in tempo e a ragione.
Non vi è più alcun motivo che imponga allo Stato svizzero di essere proprietario di Swisscom. Sarebbe ancora stato sensato e giusto all’epoca delle PTT che coprivano tutto il settore delle telecomunicazioni. Oggi non è più così. Il servizio universale è in ogni caso garantito per legge anche se Swisscom divenisse autonoma. Le imprese di telecomunicazione competono in Svizzera per accaparrarsi il permesso di gestire questo servizio universale. Fino al 2007 questo privilegio è stato assegnato a Swisscom. Successivamente il „mandato per il servizio universale“ – come è ancora chiamato erroneamente l’ultimo miglio – sarà nuovamente messo a concorso.
Che cosa ci insegna questa vicenda Swisscom? Diversamente dai filosofi, i politici non devono annunciare belle teorie e seguire visioni, bensì risolvere problemi concreti.
Il Consiglio federale ha riconosciuto i pericoli e ha agito prontamente e con efficacia.
VIII. Conclusione
Gentili Signore, egregi Signori,
siamo agli inizi dell’anno politico 2006. I tre oggetti menzionati – la nuova legge sugli stranieri, la riveduta legge sull’asilo e la Swisscom – vanno oltre le semplici questioni giuridiche. Tutti e tre gli oggetti concernono intimamente la nostra concezione statale.
All’Assemblea dell’Albisgüetli 2006 vi rivolgo l’appello di sostenere gli oggetti con tre sì nell’interesse del Paese e del popolo, ma anche nell’interesse di una politica responsabile. Avete sentito perfettamente. Vi esorto a dire tre volte sì!
Negli anni passati l’UDC ha dovuto spesso dire NO nell’interesse del Paese e del popolo perché venivano proposte soluzioni inaccettabili per l’UDC.
Per lungo tempo siamo stati chiamati il “partito del no”. Ho sempre risposto: purtroppo ci pongono sempre le domande sbagliate. Oggi, nel 2006 le domande sono quelle giuste:
volete una legge sull’asilo efficace che si opponga ai costosi e irritanti abusi del diritto d’asilo?
Volete una legge sugli stranieri che disciplini in modo sensato l’immigrazione e consenta di contenere il numero degli illegali?
Volete che la Swisscom mantenga la propria libertà imprenditoriale senza che qualcuno debba rinunciare alla propria linea telefonica oppure che il popolo svizzero sperperi miliardi?
Nella mia qualità di consigliere federale vi chiedo oggi di dire sì alle tre proposte del Governo e di battervi per questo sì. Infatti le proposte contengono buone soluzioni! Ciò ovviamente non significa che anche in avvenire dobbiate dire sì e amen ad ogni proposta del Consiglio federale…
16.01.2004
Etat des lieux politique à l'occasion de la 16e Réunion de l'Albisgüetli de l'Union démocratique du centre du canton de Zurich
16.01.2004, Zurich
Les paroles prononcées font foi
16.01.2004
Eine politische Standortbestimmung anlässlich der 16. Albisgüetli-Tagung der Schweizerischen Volkspartei des Kantons Zürich
16.01.2004, Zürich
Es gilt das gesprochene Wort
Freitag, 16. Januar 2004, im Schützenhaus Albisgüetli, Zürich
Es gilt sowohl das gesprochene als auch das geschriebene Wort, wobei sich der Referent vorbehält, auch stark vom Manuskript abzuweichen.
Herr Nationalratspräsident,
Herr Kantonsratspräsident,
Herr Verfassungsratspräsident,
Herr Regierungspräsident,
Frau Regierungsrätin,
Herr Regierungsrat,
Herren Ständeräte, Nationalräte und Kantonsräte,
Herren Bundesrichter und Oberrichter,
Herren Korpskommandanten und Divisionäre,
Liebe Mitglieder, Freunde, Sympathisanten und Kampfgefährten der
Schweizerischen Volkspartei,
Liebi Fraue und Manne,
Ich heisse Sie herzlich willkommen zur 16. Albisgüetli-Tagung 2004.
Kurz nach dem 10. Dezember 2003 habe ich einen Brief erhalten, worin mir ein weitsichtiger Bürger mitteilte: "Gut, sind Sie in die Regierung gewählt worden, so hat das Albisgüetli wenigstens einen Bundesrat in den nächsten Jahren. Oder muss die SVP beim ,Herrn Bundesrat Blocher' jetzt auch mit einer Absage rechnen?"
Nein, meine Damen und Herren. Es gibt immerhin böse Zungen, die behaupten, Blocher sei nur deshalb Bundesrat geworden, damit an jeder Albisgüetli-Tagung ein Bundesrat anwesend sei. Ich versichere Ihnen lediglich, dass mich kein Beschluss des Gesamtbundesrates je davon abhalten wird, am Albisgüetli teilzunehmen...
I. Einmal mehr: Sonderfall Schweiz
Als wir uns nach den vorletzten Parlamentswahlen, also vor vier Jahren, hier zusammen fanden, fragten wir uns, wie der Erfolg der SVP zu erklären sei. Wir kamen auf folgende Eckpunkte:
- Auftrag erfüllen statt Prestige pflegen
- Themen statt Pöstchen besetzen
- Selbstverantwortung geht vor Umverteilung
- Den Sonderfall Schweiz begreifen
- Das Undenkbare denken und auch sagen
Diese Erfolgsrezepte werden ihre Gültigkeit immer bewahren. Das sind Richtlinien, die für eine Oppositionspartei genauso gelten wie für eine Regierungspartei. Das gilt für Bundesräte wie für Nichtbundesräte.
Als die SVP 1999 zur wählerstärksten Partei avancierte, bin ich damals pflichtschuldigst zur Bundesratswahl angetreten. Doch die anderen Parteien zogen eine Mitte-Links-Regierung vor, auch wenn eine grosse Mehrheit im Volk diese Politik nicht mittrug. Ich sagte damals: "Wir sehen uns bei Philippi wieder." Manche haben darüber spekuliert, was wohl damit gemeint sei. Einige meinten, ich hätte mich versprochen und eigentlich im Hinblick auf die nächste "Arena"-Sendung des Schweizer Fernsehens sagen wollen: "Wir sehen uns bei Filippo wieder." Nein, ich meinte damals die nächsten Wahlen im Jahr 2003. Und tatsächlich: Wir haben uns bei Philippi wiedergesehen. Die Resultate dieser letzten Parlamentswahlen schufen die Grundlage für meine Wahl zum Bundesrat. Ich staune, ehrlich gesagt, noch heute über meine Wahl. Das heisst nicht, dass ich meine Kandidatur nicht ernst genommen hätte. Es war mir sehr ernst, aber überrascht war ich trotzdem. Ich hätte es dem schweizerischen Politsystem nicht zugetraut, gerade weil ich es so lange kenne. Auch anderen ging das so: Einige sprachen von einem Betriebsunfall, andere von einem Wunder, dritte von einem schwarzen Tag. Da haben alle, je nach Gesichtspunkt, etwas recht. Aber im Grunde war diese Wahl ein weiterer Beweis dafür, dass wir in einem politischen Sonderfall leben.
So richtig gemerkt habe ich dies wieder, als ich mir nach der Wahl Gedanken über das Bundesratsamt machte. Vor fast zehn Jahren sagte ich in einem Interview: "Die Bundesratswahl ist heute geradezu unappetitlich. Das ist die oberste Sprosse einer Leiter, die es zu erklimmen gilt. Und die Sprossen überwindet nur einer, der sich allseits gut stellt, sich immer wieder erkundigt: Was muss ich vertreten, dass ich höher komme? Man darf sich mit diesem und jenem nicht überwerfen, und am Schluss steht man auf der obersten Sprosse, abgeschliffen und angepasst bis zur Selbstverleugnung..." (Wolf Mettler: "Liebi Fraue und Manne...", Schaffhausen 1995, S. 81)
Ich habe meine politische Meinung im Vorfeld der Wahl nicht im geringsten preisgegeben, ich habe mich weder gegen links noch rechts verneigt und bin dennoch Bundesrat geworden. Und so muss ich jetzt sagen, ich habe mich getäuscht. Ich habe zu wenig bedacht, dass sogar bei Bundesratswahlen die Schweiz ein Sonderfall ist. Es ist überhaupt seltsam: In der Schweiz besteht die oberste vollziehende Behörde, die dem Parlament und dem Volk Rechenschaft schuldet, aus einem Kollegium von sieben gleichberechtigten Mitgliedern. Wir haben keine nur für einen bestimmten Geschäftsbereich zuständige Minister in beliebig wechselnder Anzahl, die von einem Regierungschef ein- und abgesetzt werden und diesem allein verpflichtet sind. Wir haben eine Mehrparteienregierung, in der die Regierungsvertreter von den anderen Parteien gewählt werden. Wir haben ein System, in dem es keinen dominanten Staatspräsidenten gibt und nicht einmal die wählerstärkste Partei Anspruch auf die Bildung einer Regierung hat. Und jetzt haben wir den kuriosen Fall, dass jemand Bundesrat geworden ist, den eine Mehrheit im Parlament eigentlich gar nicht haben wollte. Wenn das kein Sonderfall Schweiz ist! In jedem anderen Land würden die bisher Regierenden zurücktreten und die Opposition in die Regierung berufen. In der Schweiz bleiben die bisher Regierenden, deren Parteien verloren haben, und derjenige, der Widerstand geleistet hat, wird neu aufgenommen. Wenn das kein Sonderfall ist!
II. Mehr SVP-Politik im Bundesrat
Man hat mir das Justizdepartement übertragen. Jenes Departement also, bei dem es die meisten Differenzen zwischen der bisherigen bundesrätlichen Politik und der SVP gibt. Es geht um die Fragen der Sicherheit und Kriminalität, um das Asylwesen, um Einbürgerungen, um die Ausgestaltung des Strafrechts, um die Migrationspolitik und die Integration. Offenbar hat sich der Bundesrat gefragt: Wer hat die besten Ideen in diesem Bereich? Welche Partei hat griffige Rezepte gegen den Asylrechtsmissbrauch vorgelegt? Wer hat mit guten Gründen die Abkommen von Schengen und Dublin hinterfragt? Von wem können wir eine konsequentere Gangart im Strafrecht und im Strafvollzug erhoffen? Nach diesen Überlegungen hat sich der Bundesrat für mich als Vorsteher des EJPD entschieden. Das nehme ich jedenfalls so an. Ich selber dachte ja, ich sei von meiner Erfahrung her eher für das Finanzressort oder die Wirtschaft geeignet. Aber nein, die Regierung will im Justizdepartement mehr SVP-Politik. Der ehemalige SP-Parteipräsident Helmut Hubacher meinte zwar: "Blocher als helvetischer Justizminister ist wie die gerechte Strafe Gottes" ("Die Weltwoche", 18.12.2003). Für wen diese Wahl eine Strafe ist, hat er allerdings nicht gesagt. Was mag Herr Hubacher wohl damit gemeint haben? Glaubt er etwa, der Bundesrat habe mich mit Hintergedanken ins EJPD gesteckt? Glaubt Herr Hubacher tatsächlich, eine Landesregierung würde so kleinkrämerisch und bösartig handeln? Hat Herr Hubacher denn gar keinen Respekt vor Amt und Würde des Bundesrates? Und überhaupt: "Eine gerechte Strafe Gottes"! Seit wann glauben Sozialisten an einen Gott?
Wofür steht denn der Bundesrat? Es gehört zum Wesen unseres Staates, dass keiner direkt wirken und entscheiden kann, auch wenn man wüsste, was richtig und notwendig wäre. Häufig kann man nur Fehlentwicklungen verhindern. Eine Aufgabe, die übrigens meistens und schon sehr lange vom Volk übernommen wird. In unserer direkten Demokratie gehört der letzte Entscheid ja immer dem Souverän. Die eigentliche Aufgabe des Bundesrates liegt in der Umsetzung des demokratische Wählerwillens. Es ist deshalb eine Unsitte, dass sich der Bundesrat immer mehr und immer parteiischer in Abstimmungskämpfe einmischt. Dadurch wird der Bundesrat unter Umständen mit Vorlagen identifiziert, die er gar nicht selber eingebracht hat. Das schwächt sein Ansehen. Ein solches Vorgehen untergräbt aber auch den Zusammenhalt im Volk, weil sich in jedem Fall wesentliche Bevölkerungsteile von der Regierung nicht mehr vertreten fühlen. Es ist nicht statthaft, dass die Legislative die Abstimmungskämpfe an die Exekutive delegiert. Denn die Arbeit der Exekutive beginnt erst nach einem Volksentscheid - so will es die Gewaltenteilung. Heute vertritt der Bundesrat häufig Vorlagen, die ursprünglich von Parteien oder Verbänden stammen. Kürzlich meinte eine frisch gewählte FDP-Nationalrätin, sie erwarte vom neuen Bundesrat einen "beherzten Einsatz" (Christa Markwalder im "Bund", 29.12.2003) für die Mutterschaftsversicherung. Eben nicht! Das ist keine Aufgabe von Bundesrat und Verwaltung in einer Konkordanzregierung. Wer hier die Zurückhaltung aufgibt, gefährdet letztlich Sinn und Zweck unseres Konkordanzsystems. Wir haben schliesslich eine numerische, eine arithmetische Konkordanz und keine politische. Das Führen von Abstimmungskämpfen ist also Sache der Parteien, Verbände und Politiker. Darum sollten wir die staatliche, mit öffentlichen Geldern finanzierte Propaganda sofort beenden.
III. Von der lebensfeindlichen Bürokratie
Meine ersten Eindrücke und Schlussfolgerungen nach vierzehn Tage Einblick in die Bundesverwaltung:
In den letzten Jahren ist nicht nur unsere Verwaltung immer bürokratischer geworden, auch die Wirtschaft, ja das persönliche Leben jedes Einzelnen wird zunehmend staatlich reguliert. Davon ist auch ein Bundesrat nicht ausgenommen. Kaum hatte ich mit meiner Arbeit begonnen, fragte mich mein geschätzter Weibel, wann ich den Kaffee serviert haben möchte. Ich sagte: "Bringen Sie mir den Kaffee, wenn ich nach einem verlange." Worauf der Weibel anfügte: "Das ist nicht so einfach. Wir führen eine Liste für private und repräsentative Kaffees. Die werden separat abgerechnet und durch das Finanzdepartement kontrolliert. Sie müssen mir jeweils sagen, zu welchem Anlass Sie Ihren Kaffee trinken wollen." Meine Antwort: "Ich zahle Ihnen die Kaffeebohnen, dann müssen Sie nicht mehr abrechnen." Antwort des pflichtbewussten Weibels: "Das geht nicht: Auch die Gäste des Aussendepartements trinken von diesem Kaffee, und einmal pro Woche sogar alle Bundesräte bei ihrer Sitzung." Also muss kontrolliert, aufgeschrieben und verrechnet werden. Die Weibel haben inzwischen ein sinnvolleres System erdacht.
Bürokratie entsteht überall da, wo man versucht ist, jedes auftauchende Problem oder Problemchen mit Vorschriften und Massnahmen so zu regeln, dass es sich nicht mehr stellen kann. Absurd wird die Bürokratie, wenn die aufgewendeten Regelungen in keinem Verhältnis mehr zur Grösse des tatsächlichen Problems stehen und wenn die neuen Vorschriften alle normal Denkenden und Handelnden derart einschränken, dass ihre Produktivität und Kreativität behindert wird. Von einem weiteren Beispiel hat mir ein Zürcher Weinbauer in einem Brief berichtet: Weil ein Weinimporteur seinen Wein in unerlaubtem Mass mit algerischem Rotwein gepanscht hatte, wurde eine Reihe von neuen Vorschriften - totale Registrierung jeder Flasche - erlassen. Und zwar für alle. Statt den einen Delinquenten mit einer ordentlichen Busse zu bestrafen, bestraft die Bürokratie alle, auch die Unbescholtenen. Der Weinbauer klagte mir, dass diese zusätzliche Verwaltungsarbeit für ihn kaum noch finanzierbar wäre. Damit keiner mehr betrügen kann, wird jede Initiative lahmgelegt.
Häufig sind es auch Politiker, die aufgrund von möglichen kleinen Unrechtmässigkeiten oder wegen seltener Einzelfälle nach weiteren Vorschriften rufen, die dann ein normales Arbeiten äusserst erschweren, teilweise sogar verunmöglichen. Dazu kommen die unzähligen Gesetze, die nur schon deshalb eingeführt werden, weil sie das Leben unserer Bürger in vorauseilendem Gehorsam den Gesetzen anderer Staaten anpassen oder, wie es so schön im Beamtendeutsch heisst, "harmonisieren" wollen.
Werden all diese bürokratischen Regelungen, Vorschriften und Gesetze dann noch getreu dem Buchstaben nach angewandt, ersticken sie nicht nur sämtliche Originalität und Spontaneität, sondern das Leben selbst. Das Problem der Bürokratie ist ja nicht, dass die Beamten zu wenig arbeiten, sondern dass sie zu gut arbeiten. Schauen Sie die Fichenaffäre an: Hier hat eine Stelle einmal angeordnet, sämtliche Verdächtigen zu überwachen und die Ergebnisse in Fichen abzulegen. Das war zu jener Zeit vielleicht auch richtig und angemessen. Nur hat später keiner den zuständigen Beamten gesagt, dass sie jetzt wieder aufhören können. Und so wurde munter weiter gesammelt und weiter fichiert bis zum grossen Knall.
Es liegt in der Natur der Bürokratie, dass sie jeden möglichen Missstand, jeden Fehler durch ein System ersetzen will. Die zunehmende Bürokratisierung der Gesellschaft, der Wirtschaft, der Verwaltung und der Politik ist eine Folge der mangelnden Selbstverantwortung und der Angst vor dem Risiko.
In den wenigen Tagen, die ich bis jetzt im Amt als Bundesrat verbracht habe, ist mir schmerzhaft bewusst geworden, wie die perfekt ausgeklügelte Bürokratie in der Bundesverwaltung mit ihren fleissigen, korrekten, genauen Beamten den Bundesrat am Lösen der wichtigsten Probleme dieses Landes und damit am Regieren selbst hindert. Wir sind ununterbrochen mit der Bewältigung von aufgezwungenen Nebensächlichkeiten beschäftigt, sodass die entscheidenden Fragen liegen bleiben. Am Ende fehlen Zeit und Kraft, um sich zu überlegen: "Was ist das Wesentliche? Wo sind die grossen Probleme?" Doch genau darüber sollte ein Bundesrat mit seinen Kollegen, Amtsdirektoren und Mitarbeitern diskutieren, streiten und Vorschläge prüfen. Sind die wichtigsten Probleme erst einmal festgestellt, ist die halbe Arbeit getan und es können Lösungen erarbeitet werden.
IV. Eine richtungsweisende Wahl
Als wir uns vor einem Jahr hier im Albisgüetli versammelt haben, stand uns ein wichtiges, richtungsweisendes Wahljahr bevor. Mir war klar, dass die Parlamentswahlen 2003 die bedeutsamsten Wahlen für uns sein würden. Nur wenn die SVP kräftig zulegt, könnte sich für die Zukunft in unserem Land etwas ändern.
Ich sagte damals: "'Es taget vor dem Walde!' In Wirtschaft und Gesellschaft und bei den Leuten, die im Alltag, im Leben stehen, beginnt es zu tagen. Im Bundeshaus ist dies noch nicht der Fall. Da herrscht noch dunkle Nacht und tiefer Schlummer. Wecken wir sie auf durch die Wahlen 2003!"
Und wahrlich! Die Wahlen vom 19. Oktober 2003 haben nicht nur geweckt, sondern geradezu aufgeschreckt. Die SVP hat zum dritten Mal in Folge einen grandiosen Wahlsieg eingefahren. Es war ein unsanftes, aber nötiges Erwachen. Warum? Weil die Zeit der Träumereien vorbei ist. Weil man die Wirklichkeit nicht mehr schön reden konnte. Weil die Probleme zu offensichtlich sind. Weil die Milliardendefizite niemand mehr verleugnen kann. Weil die Leute genug davon haben, Probleme nur mit Geld statt mit Taten zu lösen. Zu lange ist man schönen Visionen nachgerannt und hat dabei die Arbeit vernachlässigt. Die SVP hat trotz Anfeindungen standhaft auf den bewährten liberalen und bürgerlichen Rezepten beharrt. Unsere Unabhängigkeit haben wir erkämpft und verteidigt. Auch gegen die Einheitspresse. Wir haben Nein gesagt, wo es nötig war und bessere Lösungen präsentiert. Wir haben eine deutliche Sprache gesprochen und uns nicht wie die anderen dem Konsensgeplauder angeschlossen. Die Bürgerinnen und Bürger haben erkannt, dass wir eine solide, verlässliche Politik vertreten. So hat die SVP die Wahlen 2003 gewonnen, weil die Menschen unsere unerschrockene Arbeit honoriert haben. Die Wählerinnen und Wähler verknüpfen mit der SVP die grosse Hoffnung, dass endlich wieder für jene Menschen politisiert wird, die unser Land voranbringen wollen. Und jetzt spürt man diese Erleichterung, diese Zuversicht täglich. Die Schweiz beginnt sich aus ihrer Erstarrung zu lösen und fasst neues Selbstvertrauen.
Seit dem 10. Dezember 2003 fühlt sich der leistungsbereite Mittelstand wieder im Bundesrat vertreten. Die Leute wollen Arbeit. Die Menschen wollen freie Entfaltung. Die Menschen leiden unter den hohen Krankenkassenprämien. Sie wünschen sich sichere Renten, sie fordern ein Ende der illegalen Einwanderung, und ihr Ärger gilt dem allgegenwärtigen Asylmissbrauch. Mit anderen Worten: Die Schweizerinnen und Schweizer wollen eine prosperierende Wirtschaft, denn nur sie kann für Wohlstand und Vollbeschäftigung sorgen. Zum anderen erwarten die Bürger, dass endlich gegen eklatante Missbräuche vorgegangen wird. Denn es ist stossend, jährlich Milliarden Steuern zu zahlen, nur weil sich gewisse Leute nicht an die Gesetze halten oder unser Sozialsystem ausnutzen. Eine grosse Mehrheit in unserem Land will das Gegenteil der ruinösen Umverteilungspolitik. Sie haben genug von Moralisten, die jeden Missstand totschweigen, der ihrem sozialromantischen Weltbild widerspricht. Die Leute haben die linken Schalmeiengesänge endgültig durchschaut, an deren Ende nur neue Steuern, neue Schulden, neue Sozialmissbräuche stehen.
V. Standhaftigkeit bringt Erfolg
Am 19. Oktober 2003 hat der Wecker geklingelt. Für die SVP war klar, dass es so wie bisher nicht mehr weitergehen kann. Über Jahre hinweg hat die SVP im Bundesrat das bürgerliche Feigenblatt gespielt. Man hat die SVP nach der 99er Wahl hingehalten, obwohl der Partei schon damals ein zweiter Bundesratssitz zugestanden wäre. Mit allerlei Ausreden, die monatlich wechselten, verweigerten die anderen Parteien der SVP den zweiten Sitz. Nach diesen Wahlen mussten wir deshalb für bereinigte Verhältnisse sorgen. Wir wollten unsere Politik, den Wählerauftrag, so gut wie möglich umsetzen. Die Zeit der halbbatzigen Lösungen war definitiv abgelaufen.
Für mich geht in diesem Jahr ein langes Kapitel in der politischen Arbeit zu Ende. Nach sechsundzwanzig Jahren gebe ich das Präsidium der SVP-Kantonalpartei ab. In diesen Jahren hat sich unsere Partei, ausgehend von Zürich, gesamtschweizerisch enorm gewandelt. Von einem kleinen, eher belächelten Anhängsel, ist die SVP zur bestimmenden bürgerlichen Kraft im Land gewachsen. Dieser Aufstieg hat verschiedene Gründe. Mit Ausnahme unserer Partei gab es wenige Politiker, die sich dem Medien- und Meinungskonsens zu widersetzen wagten. Die SVP hat die Dinge beim Namen genannt - ungeachtet der Journalistenprügel. Der Zeitgeist strebte nach Grösse und suchte auch politisch den Anschluss an ein Supergebilde. In der Wirtschaft ist die Zeit des Grössenwahns vorbei. In der Politik dauert naturgemäss alles etwas länger. Aber der Glanz der Europäischen Union ist ziemlich verblasst. Die Osterweiterung hat weit mehr Querelen als Enthusiasmus hervorgerufen. In der Schweiz besinnt man sich wieder auf die eigenen Stärken. Auch junge Wirtschaftsleute setzen ganz auf Schweizer Qualitäten. Kürzlich meinte der neue, gerade mal 31-jährige Denner-Chef: "Wir Schweizer müssen vom hohen Ross runterkommen und zu unseren Tugenden zurückkehren: Fleiss, Bescheidenheit, Dienstbereitschaft, Disziplin. So ist die Schweiz gross geworden." (Philipp Gaydoul im "Blick", 31.12.2003) Die Stimme eines Jungen!
Bürgerliche Tugenden sind nie veraltet. Darum sind wir eine liberalkonservative Partei. Wir geben der Wirtschaft und den Menschen die Freiheit, sich zu entfalten. Gleichzeitig prüfen wir - und das ist der konservative Zug -, ob das Neue wirklich besser ist als das Bisherige. Dieses Denken hat mich in die Politik geführt und seither immer bestimmt.
VI. Ein Rückblick
Erstmals richtig politisch aktiv wurde ich in meiner damaligen Wohngemeinde Meilen. Wir waren noch nicht einmal drei Monate dort ansässig, als es um das Einzonen eines gewaltigen Areals für die Alusuisse ging. Wir fanden das Projekt für eine so ländliche Gegend völlig überrissen, obschon sich viele Bürger Geldsegen versprachen. Es ergab sich, dass ich zum Wortführer der Gegner wurde. Es strömten damals fast dreitausend Menschen an diese Gemeindeversammlung, und wegen des grossen Aufmarsches musste die Diskussion mit Lautsprechern in eine zweite Turnhalle übertragen werden. Als ich dann zum zweiten Mal das Wort ergriff, gingen dem damaligen Gemeindepräsidenten und LdU-Nationalrat Theodor Kloter die Nerven durch. Er raunte seinem Nachbarn zu: "Jetzt schnurred dä Tubel scho wider." Dummerweise waren die Mikrofone eingeschaltet und alle konnten die Bemerkung des Gemeindepräsidenten in der anderen Turnhalle hören. Ich liess mich wegen der Massregelung nicht verdriessen und sprach trotzdem. Wir haben übrigens damals die Abstimmung verloren. Aber gebaut wurde das Alusuisse-Center trotzdem nicht. Das zeigt: Nicht jede Niederlage bleibt eine Niederlage.
In dieser Zeit pilgerten mehrere Parteien zu mir und wollten mich für eine Mitgliedschaft gewinnen. Ausser den Sozialdemokraten: sie sparten sich den Weg, auch wenn sie sonst nicht viel fürs Sparen übrig haben. Ich entschied mich damals für die SVP, weil mir als gelernter Landwirt die Bauern- und Gewerbepartei am nächsten stand und weil sie nicht den damaligen Standesdünkel anderer Parteien verströmte.
Bald wurde ich in den Gemeinderat gewählt. Ein Jahr später - 1975 -, ich war eben erst in den Kantonsrat gewählt, trat ich gegen das zürcherische Planungs- und Baugesetz und damit auch gegen den damaligen SVP-Regierungsrat und Baudirektor Alois Günthart an. Schon damals sperrte die NZZ unsere Inserate, weil sie nicht ihren politischen Auffassungen entsprachen. Aufgrund der Meinungsunterschiede wollte mich der Baudirektor aus der Partei ausschliessen. Wir verloren diese Abstimmung, und der SVP-Baudirektor prophezeite den drei gegnerischen Kantonsräten - Rudolf Reichling, Albert Sigrist (FDP) und mir - das Ende der politischen Karriere. Es kam etwas anders: Albert Sigrist wurde Regierungsrat, Rudolf Reichling Nationalratspräsident und Christoph Blocher Bundesrat. Politiker waren schon immer schlechte Propheten. Was hat mich diese Episode gelehrt? Man muss seinen Weg konsequent gehen, auch wenn eine Niederlage droht. Man muss seiner Meinung treu bleiben, selbst wenn sie verteufelt wird. Auch dann, wenn andere sagen: "Jetzt schnurred dä Tubel scho wider." Nicht eine Meinung zu haben, ist der Tod in der Politik, sondern wenn man aus Opportunismus nachgibt. Übrigens, Alois Günthart wurde später einer meiner engsten Weggefährten.
1977 bin ich dann Präsident der SVP Zürich geworden. Verschiedene Personen wollten meine Wahl verhindern. An der entscheidenden Delegiertenversammlung votierte ich vergeblich gegen die neue Finanzordnung, welche das Volk dann später ablehnte. Meine Gegner sagten, es könne einer nicht Kantonalpräsident werden, wenn er in Sachfragen eine andere Meinung vertrete. Bis weit über Mitternacht diskutierten die Anwesenden, ob sie mich oder den Gegenkandidaten zum Präsidenten wählen sollten. Schliesslich stellte ich einen Ordnungsantrag: Man könne jetzt nicht mehr weiter diskutieren. Meine Frau, die mich begleitet hatte, müsse nach Hause. Dort warte ein vier Monate altes Kind, das gestillt werden müsse, sonst verhungere es. Ich sagte: "Mir ist das Überleben meines Kindes wichtiger als dieses höchst ehrenvolle Parteiamt." Dieses Votum gab den Ausschlag. Die Versammlung drängte zur Abstimmung, und ich wurde überraschend deutlich gewählt. Es war nicht das erste Mal, dass mich meine Frau begleitet hat. Und nicht das letzte Mal. Sie hat in all den Jahren gemeinsam mit mir viele Kämpfe durchgefochten, Niederlagen verdaut, Erfolge gefeiert und mich und die Zürcher SVP weiter gebracht. Sie hat mich auch in den letzten Monaten vor der Bundesratswahl bestärkt und auch heute ist sie anwesend. Herzlichen Dank, liebe Silvia!
Die SVP ist ja bekanntlich aus der Bauernpartei hervorgegangen. In einzelnen Kantonen konnte sie auf eine lange Tradition zurückschauen. Sie war aber thematisch eng begrenzt. Ich erinnere mich, wie ich in der Anfangszeit meines Präsidiums Weinländer Ortssektionen besuchte. Auf der Traktandenliste der Bezirkspartei wurden zwar auch die Abstimmungsparolen behandelt. Mit weit grösserer Inbrunst aber befassten sich die Delegierten mit der kommenden Bezirksviehschau. Partei, Milch- und landwirtschaftliche Genossenschaften bildeten eine Einheit. Wir haben dann im Kanton Zürich begonnen, das Programm zu erweitern. Wir haben uns insbesondere auch um die Finanz-, Wirtschafts- und Aussenpolitik gekümmert und sind mittlerweile zur führenden Wirtschaftspartei geworden. Das war eine zähe und aufreibende Arbeit. Man muss eine gewisse Hartnäckigkeit entwickeln in der Politik. Meine Frau war oft am Verzweifeln, wenn sie hörte, wie nach langer Arbeit irgend ein kläglicher Gewinn eines einzigen Kantonsratssitzes oder wenigstens ein "Halten der Sitze" vermeldet werden konnte. So viel Arbeit - so wenig Erfolg! Hartnäckige Kleinarbeit, nicht nur gegen aussen, sondern fast noch mehr nach innen. Die Bequemlichkeit ist der grösste Feind einer Partei. Auch wir hatten und haben die Tendenz, uns mit einem gut formulierten Wahlprogramm zufrieden zu geben. Aber das Wahlprogramm ist das eine, die politische Arbeit das andere. In der Politik gibt es den Drang zum Grundsätzlichen, bloss um dem Konkreten zu entfliehen. Ich will Ihnen das an einem Beispiel verdeutlichen und zwar an einer Begebenheit aus unserer Partei, die ein paar Jahre zurückliegt, aber nichts an ihrer Aktualität eingebüsst hat.
Schon damals galt für uns: "Nur so viel Staat wie nötig - aber so viel Freiheit wie möglich." Auch die Programmkommission unserer Partei verschrieb sich diesem Grundsatz und führte vorbildlich gleich einige konkrete Privatisierungsvorschläge an: etwa den Lehrmittelverlag, die Staatskellerei, die Zentralwäscherei... Anschliessend beriet der Parteivorstand sorgsam den Programmentwurf und lobte die Grundsätze. Die Damen und Herren waren sich wohltuend einig - bis man auf die konkreten Beispiele zu sprechen kam. Da erhob sich ein angesehener Lehrer, zeigte den Mahnfinger und sprach: Er sei gewiss der Letzte, der gegen Privatisierungen antrete. Aber ausgerechnet beim Lehrmittelverlag anzufangen, dieser sinnvollen und traditionellen Institution, sei nun wirklich das Verkehrteste. Als es um die Staatskellerei ging, meldete sich ein ehrwürdiger Rebbauer. Er habe das Privatisieren schon mit der Muttermilch aufgesogen. Aber doch nicht ausgerechnet die Staatskellerei, der die Weinbauern so viel zu verdanken hätten! Beim Thema Zentralwäscherei erhob der tüchtige Verwalter eines Regionalspitals die Stimme und versicherte, wenn einer etwas von Privatisierung verstehe, sei er es. Aber es gehe keinesfalls an, die so nützliche und effiziente Zentralwäscherei zu privatisieren. Kein einziges der genannten Beispiele überlebte die Sitzung. Am Schluss einigte man sich auf den leeren Programmgrundsatz: "Nur so viel Staat wie nötig - aber so viel Freiheit wie möglich. Die Privatisierungen sind mit aller Kraft voranzutreiben."
Meine Damen und Herren, die Programme aller Parteien strotzen von solchen Grundsätzen. Nur fehlen die Taten. Für die Bürger zählen aber nur diese. Das Konkrete ist massgebend. Sonst verlieren die Wähler, die Leute und das Volk immer mehr das Vertrauen in die Politik und die Politiker, weil Programme und Taten nicht mehr übereinstimmen.
VII. EWR als Wendepunkt
Der eigentliche Wendepunkt für die SVP war die wichtigste aussenpolitische Abstimmung des letzten Jahrhunderts: Die EWR-Abstimmung von 1992. Noch selten hat es eine Vorlage gegeben, für die sich sämtliche Verbände, sämtliche Parteien, der Bundesrat, alle Kantonsregierungen, die ganze Wirtschaft, die Gewerkschaften, das Establishment so geschlossen und mit einem derart grossen Aufwand eingesetzt haben. Mit praktisch allen Medien, den Zeitungen und dem Fernsehen im Rücken. Die Meinungseliten erklärten die EWR-Abstimmung zur Vertrauensabstimmung schlechthin. Und dann verloren sie diese Abstimmung. Aber das Vertrauen verloren die Befürworter erst später, dann nämlich, als Bundesrat und Parlament den Volksentscheid nicht respektierten. Statt sich der Realität zu beugen, versuchten sie, die Schweiz mit allerlei Massnahmen für den EU-Beitritt gefügig zu machen. Dazu gehörte auch die permanente Verunglimpfung unserer Partei und ihrer Vertreter. Das hat die SVP aber nur stärker gemacht. Für Windfahnen und Wendehälse war fortan in der SVP kein Platz mehr. Wer in der SVP politisieren wollte, musste für seine Überzeugungen hinstehen und hatte diese nach allen Seiten zu verteidigen. Dies schuf aber Vertrauen und Respekt in der Bevölkerung. Warum war der Urnengang vom 6. Dezember 1992 so entscheidend für die Schweiz?
- Das EWR-Nein verhinderte den bereits anvisierten EU-Beitritt mit all seinen negativen Folgen.
- Das EWR-Nein verhinderte einen unwürdigen Kolonialvertrag, bei dem die Schweiz auch künftiges EU-Recht widerspruchslos hätte übernehmen müssen.
- Das Nein zum EWR-Vertrag ermöglichte, dass die Schweiz gerade ausserhalb von EWR/EU ihren Wohlstand und ihre Unabhängigkeit besser bewahren konnte. Die vormals EU-begeisterte Wirtschaft beurteilt heute eine EU-Mitgliedschaft klar negativ. Ohne EWR-Nein wäre diese Neueinschätzung nicht möglich gewesen.
In diesem Zusammenhang war für alle klar: Es gab und gibt nur eine Partei, die sich bedingungslos für die Eigenständigkeit, für den schweizerischen Weg in Europa und der Welt einsetzt: Die SVP. Das haben die Wählerinnen und Wähler erkannt und 1995, 1999 und im letzten Jahr in eindrücklichen Wahlen bestätigt.
VIII. Die bürgerliche Wende vollziehen
Es hat immer wieder Phasen gegeben, in denen sich das Volk und die Oberen uneinig waren. Der Mitbegründer der "Weltwoche", Karl von Schumacher, hat in einem Artikel aus dem Jahr 1940 deutlich gemacht, dass er im Zweifelsfall die Volksmeinung vorzieht: "Wenn es zu Meinungsverschiedenheiten zwischen dem Schweizer Volk und seiner Regierung kommt, zeigt es sich zuletzt fast immer, dass der einfache Mann die Dinge richtiger erkannt hat als der, der oben steht. Das ist gar nicht so unerklärlich. Es gibt eben nicht nur den Verstand, sondern auch einen politischen Instinkt, der sehr oft beim einfachen Mann besser entwickelt ist als beim Gebildeten, der nur zu oft ein Verbildeter ist." ("Die Weltwoche", 2.5.2002)
Meine Damen und Herren, freuen wir uns über den grossen Sieg der SVP in den letzten Wahlen. Aber in die Freude mischt sich auch Vorsicht, diesen Sieg zu verspielen.
Als Hannibal über die Alpen gezogen war und einen triumphalen Sieg gegen das römische Heer errungen hatte, drängten ihn seine Offiziere dazu, möglichst rasch Rom anzugreifen. Doch Hannibal zauderte und lehnte ab. Sein Reiterführer soll darauf gesagt haben: "Zu siegen verstehst du, den Sieg zu nutzen verstehst du nicht." ("Die Weltwoche", 1.1.2004)
Nach meiner Wahl zum Bundesrat haben mir unendlich viele Bürgerinnen und Bürger nicht einfach nur gratuliert, sondern vor allem ihre Erwartungen ausgedrückt und viel Kraft fürs neue Amt gewünscht, wohl im Wissen darum, dass ich keine einfache Stellung haben werde und mir viele Widerstände in meiner neuen Tätigkeit erwachsen. Für dieses Vertrauen und die Unterstützung danke ich und zähle auch auf Sie, meine Damen und Herren. Ich versichere Ihnen, von meiner Seite werde ich mein Bestes geben, um Sie nicht zu enttäuschen. Hoffen wir, es möge später einmal heissen: Sie haben nicht nur verstanden zu siegen, sondern auch verstanden, den Sieg zu nutzen zum Wohl unseres Volkes und unseres Landes
16.01.2004
Una valutazione politica della situazione in occasione della 16esima assemblea dell'Albisgüetli dell'Unione democratica di centro del Canton Zurigo
16.01.2004, Zurigo
Vale il testo parlato
29.11.2003
Interview im "Tages Anzeiger" vom 29. November 2003
Bundesratsanwärter Christoph Blocher verspricht, Kompromisse mitzutragen, glaubt, seine Partei werde sich im Stil mässigen und mag frühere Aussagen nicht zurücknehmen.
von Hannes Nussbaumer und Gaby Szöllösy
Tages Anzeiger: Ihr Bruder Gerhard verglich Sie mit dem Rheinfall. Der frage auch nicht, ob er über die Klippe stürzen wolle, er müsse. Gehorchen Sie mit Ihrer Kandidatur einer höheren Gewalt?
Christoph Blocher: Er hat das Bild gebracht, weil ich ein intuitiver Mensch bin. Was ich mache, tue ich, weil ich das Gefühl habe, ich muss es tun. Das kommt vielen Leuten vor wie der Rheinfall, der halt einfach seinen Lauf nimmt. Mit höherer Gewalt hat das nichts zu tun. Ich habe ein natürliches Gottvertrauen, aber alles Frömmlerische und Sektiererische liegt mir fern.
Aber Sie beten zu Gott?
Blocher: Ich habe Hemmungen, darüber zu sprechen, denn der Mensch ist nicht ein guter Mensch, weil er regelmässig betet. Aber selbstverständlich bete ich auch.
Fühlen Sie sich mit Zwingli, dem Zürcher Reformator, wesensverwandt?
Blocher: Wesensverwandt nicht, aber er ist eine interessante Gestalt. Er hat ja nicht mit Politisieren begonnen, sondern hat das Matthäus-Evangelium ausgelegt. Aber er hat gesellschaftlich und wirtschaftlich viel bewirkt zum Wohl der Bevölkerung.
Zwingli wollte damals die Gesellschaft von religiöser Scheinheiligkeit, von Nichtstuerei und Verschwendung befreien. Haben Sie dasselbe vor?
Blocher: Die Morallehre von Zwingli ist mir ziemlich fremd, ich finde, der Staat soll nicht in die Moral reinreden. Auch kann man die damalige Zeit nicht mit heute vergleichen. Ich setze mich für mehr individuelle Freiheit ein. Ich möchte die Menschen von den vielen Vorschriften und den hohen Steuern, Abgaben und Gebühren an den Staat befreien.
Der Staat soll also sparen. Das Sparziel des Bundesrates - insgesamt sechs Milliarden - dürfte Ihnen gefallen. Wo setzen Sie an?
Blocher: Erst sind Alternativen zu erarbeiten, bevor man sagen kann wo. Sparen muss man sicher in der Bundesverwaltung. 10 Prozent müsste man die Verwaltungskosten im Minimum senken - und könnte es auch.
Der Bundesrat hält dies für nicht realisierbar: Das führe zum Abbau von 6000 Stellen, damit könnte die Verwaltung die gesetzlichen Aufträge nicht mehr erfüllen.
Blocher: Der Bundesrat sagt, es gehe nicht, weil er es nicht tun will. Ich bin sicher, dass man dies ohne Leistungsabbau bewerkstelligen könnte.
Angenommen, Sie wären schon im Bundesrat und überstimmt worden. Würden Sie Ihre abweichende Meinung publik machen?
Blocher: Nein. Ich hätte im Bundesrat massiv Widerstand geleistet, müsste den Entscheid dafür nachher loyal mittragen. Ich stehe zum Kollegialprinzip, ich hatte noch nie Mühe damit und sass schon in vielen Kollegialgremien.
Wo soll man sonst noch sparen?
Blocher: Zum Beispiel in der Forschung und Bildung. Wir müssen Prioritäten setzen. Bei den Schwerpunktthemen müsste man wohl die Mittel noch massiv aufstocken, anderes ganz fallen lassen. Zum Beispiel glaube ich nicht, dass wir in nächster Zeit ein Kernkraftwerk bauen. Also müssen wir diese Technologie nicht mehr erforschen.
Die Sozialwerke stecken in Schwierigkeiten. Soll man das Rentenalter erhöhen?
Blocher: Nein, in nächster Zeit nicht. Die 11. AHV-Revision verlangt dies nicht. Wenn sich die Wirtschaft positiv entwickelt, so reicht das mindestens für die nächsten 15 Jahre. Natürlich kann Bundesrat Couchepin über eine Erhöhung des Rentenalters nachdenken, aber er muss sich doch jetzt noch nicht festlegen fürs Jahr 2015.
Sie wollen bei der staatlichen Krippenförderung sparen . . .
Blocher: . . Kinderkrippen sind keine Aufgabe des Bundes . . .
. . . und Sie sind gegen eine Mutterschaftsversicherung. Wer zahlt die Altersvorsorge, wenn die Frauen immer weniger Lust haben, Kinder zu gebären?
Blocher: Das sind arme Kinder, die nur auf die Welt kommen, weil es eine Mutterschaftsversicherung gibt! Es ist nicht Sache des Staates, Geburten zu fördern, um Arbeitskräfte zu erzeugen. Ich staune, wie Linke nun Geburten fördern wollen. Das haben früher rechte Diktatoren gemacht, um den Nachschub von Soldaten zu garantieren. Das erinnert mich an völkische Aussagen.
Werfen Sie jetzt der Linken völkisches Gedankengut vor, nachdem Sie sie schon in die Nähe des Faschismus gerückt hatten?
Blocher: Nein. Die Begründung, der Staat müsse dafür sorgen, dass Frauen Kinder kriegen, um Arbeitskräfte zu sichern, erinnert mich daran. Zudem: Ich habe nie gesagt, Sozialdemokraten seien Faschisten, sondern das Gegenteil. Aber es ist philosophisch erwiesen, dass der Sozialismus und der Faschismus dieselben Wurzeln haben, nämlich den Etatismus und den Kollektivismus.
Zurück zur Sachpolitik: Vor einem Jahr noch haben Sie den Abbruch der Bilateralen II gefordert. Bleiben Sie dabei?
Blocher: Das Schengen-Paket, das heisst eine Schweiz ohne Grenzen, ist abzulehnen. Das bereits ausgehandelte Zinsbesteuerungsabkommen soll man gesondert verabschieden. Dazu wäre die EU bereit.
Wenn man Schengen ausnähme, sagen Sie dann Ja zum Rest der Bilateralen II, auch zum Erstasylabkommen Dublin?
Blocher: Gegen Dublin - das heisst einen besseren Informationsaustausch im Asylwesen - stemme ich mich nicht. Doch man darf die Wirkung nicht überschätzen. Dublin rechtfertigt keinesfalls die Übernahme des ganzen Rests.
Wenn man Ihnen so zuhört, fällt auf: Sie lassen sehr vieles offen.
Blocher: Ich lasse nichts offen, das ich heute entscheiden kann und muss. Gewisse Dinge kann nur der Bundesrat beantworten. Etwa wo die Kosten des Bundes gesenkt werden können. Der Parlamentarier sagt wie viel - die Regierung muss sagen, wie man das machen könnte. Ausserhalb kann man nicht die gleiche Verantwortung übernehmen wie in der Regierung selbst.
Sie haben das Parlament vor die Wahl gestellt: Blocher in den Bundesrat oder die SVP geht in die Opposition. Würde das im Bundesrat im selben Stil weitergehen: Der Entscheid fällt so wie Blocher will, oder die SVP geht in die Opposition?
Blocher: Nicht ich, sondern die SVP-Fraktion hat das Parlament vor die Wahl gestellt. Für mich ist klar: Wenn ich in den Bundesrat gewählt werde, so bleibe ich mindestens vier Jahre dort, besser aber länger.
Nichts könnte Sie zu einem früheren Rücktritt bewegen?
Blocher: Theoretisch könnte es sein, dass mich die andern sechs ausgrenzen, dass sie Mobbing betreiben. Dann wäre die Situation natürlich anders. Aber das werden die andern Bundesräte nicht tun.
Sie sagten am Wahlsonntag, Sie wollten enger mit den andern Parteien zusammenarbeiten, auch mit der SP. Wo kämen Sie denn den andern entgegen?
Blocher: Ich zeige Ihnen doch jetzt noch nicht die Kompromisse auf. Aber ich bin bereit, Kompromisse mitzutragen, so wie ich das alljährlich in den Verhandlungen mit den Gewerkschaften tue.
Keine Angst, dass Sie den Wählerauftrag unterminieren mit Konzessionen?
Blocher: Es wird Enttäuschte geben.
Sie geschäften mit China, obwohl dort Menschenrechte verletzt, die Demokratie missachtet wird. Kein Problem für Sie?
Blocher: Nein. Wir verkehren auf der Welt mit sehr vielen sündigen Menschen. Ich bin für die Demokratie in der Schweiz, für die Staatsform in China bin ich nicht verantwortlich. Man muss investieren, dann wird auch in China vieles freier.
Sie waren auch Präsident der Arbeitsgruppe südliches Afrika, welche während der Apartheid Verständnis zeigte, dass Weisse und Schwarze getrennt unterrichtet wurden und es ihnen verboten war, untereinander sexuelle Beziehungen einzugehen.
Blocher: Die Arbeitsgruppe kämpfte dafür, dass das südliche Afrika nicht in die Hände der Sowjetunion fiel, das war damals ausserordentlich gefährlich. Diesen Kampf gebot die Freiheit! Die Arbeitsgruppe war eine Vereinigung von Politikern und Militärs, denen die geostrategische Lage von Bedeutung war, nicht Fragen der Apartheid, die ich stets ablehnte.
Finden Sie immer noch, die Frau sei dem Manne untergeordnet, wie Sie das vor rund 20 Jahren beim Referendum gegen das neue Eherecht vertraten?
Blocher: Einen solchen Unsinn habe ich nie vertreten. Ich bin noch heute der Meinung, dass bei Uneinigkeit der Eheleute der Mann die finanzielle Verantwortung für den Unterhalt der Familie tragen soll. Wenn Sie diese Verantwortungszuweisung als Überordnung verstehen, ist das nicht mein Problem.
Einst erklärten Sie: «Die jüdischen Organisationen, die Geld fordern, sagen, es gehe ihnen letztlich nicht ums Geld. Aber genau darum geht es.» Der Satz kann Juden verletzen. Als Bundesrat wären Sie aber auch Regierungsvertreter der Schweizer Juden. Distanzieren Sie sich von der Aussage?
Blocher: Nein. Es war so: Diese Organisationen in Amerika haben die Schweiz in gemeinster Weise ums Geld erpresst. Wenn ich die Gefühle von Schweizer Jüdinnen und Juden verletzt habe, so tut es mir Leid. Aber der Kampf gegen solche Erpressungen muss geführt werden. Die Schweizer fühlten sich durch die Erpressungen auch verletzt.
Unvergessen Ihre Messerstecher-Inserate. Würde die SVP auf derlei Kampagnen verzichten, wenn Sie im Bundesrat sind?
Blocher: Ich denke nicht, dass die SVP weiterhin solche Plakate schalten müsste, wenn wir eine vollwertige Regierungspartei wären. Als Oppositionskraft muss man sich Gehör verschaffen, man muss provozieren, zuspitzen, stark kritisieren.
Die politische Auseinandersetzung in der Schweiz würde also anständiger?
Blocher: Sicher langweiliger.
Wäre Rita Fuhrer die schlechtere Bundesrätin als Sie?
Blocher: Das müssen Sie die Fraktion fragen.
Vor drei Jahren sagten Sie noch, Rita Fuhrer sei die bessere Bundesrätin als Sie.
Blocher: Was damals auch zutraf. Aber seither hat sich die Konstellation geändert. Damals wäre Frau Fuhrer die Geeignetere gewesen - doch das Parlament hat einen Dritten gewählt.
Samuel Schmid. Für diesen Fall hatten Sie damals schon einen noch schärferen Oppositionskurs angekündigt. Gemerkt hat man nicht viel davon.
Blocher: Ja? Warum hat man uns denn stets diese heftige Opposition vorgeworfen? All die Inserate, Kritiken, die Asyl-Initiative, die Gold-Initiative - und jetzt soll man plötzlich von all dem nichts gemerkt haben?
Sie würden heute in der Opposition auch mithelfen, das Sparpaket zu bodigen, sagt der SVP-Pressesprecher. Tatsächlich?
Blocher: Der Gebührenbeschluss im Sparpaket passte uns zwar nicht, aber deswegen würden wir kaum das ganze Paket bekämpfen. Auch das Steuerpaket und die 11. AHV-Revision würden wir mittragen. Die Opposition sagt nicht einfach zu allem Nein.
Herr Blocher, wollen Sie eigentlich in den Bundesrat? Eben sendete die SP noch zarte Signale, dass sie Sie per Stimmenthaltung eventuell unterstützen könnte - und schon brüskieren Sie sie mit der Attacke auf den SP-Sitz von Micheline Calmy-Rey.
Blocher: Das ist keine Attacke. Weil wir für die Regierungsbeteiligung nach Wählerstärke sind, stehen der SP zwei Sitze zu. Wir müssen deshalb - auch wenn es uns schwer fällt - Herrn Leuenberger und Frau Calmy-Rey auf den Zettel schreiben. Sofern die Konkordanz beibehalten wird. Wenn aber die SP hilft, die CVP-Übervertretung zu sichern und somit gegen den klaren Wählerwillen verstösst, dann hat die SP die Konkordanz gebrochen. Dann können auch wir uns nicht mehr daran halten - leider.
Sie könnten mit einem Bundesrat ohne SP ganz gut leben?
Blocher: Ich glaube, wir würden in der heutigen Situation mit einer echten Konkordanzregierung mehr erreichen.
Wenn Sie ganz generell die Wahl hätten: Eine Konkordanzregierung mit zwei SP-, zwei SVP-, zwei FDP- und einem CVP-Vertreter oder eine bürgerliche Regierung ohne SP. Was würden Sie bevorzugen?
Blocher: Wenn in unserem System eine Koalitionsregierung besser verankert wäre, so würde ich eine rein bürgerliche Regierung vorziehen, heute aber eindeutig die Konkordanz.
Werden die Entscheide des Bundesrats eher im Sinne der SVP ausfallen, wenn Sie innerhalb oder wenn Sie ausserhalb des Bundesrats politisieren?
Blocher: Das haben wir uns auch überlegt. FDP und CVP werden stark auf unsere Seite tendieren müssen, wen wir in der Opposition sind, weil sie sonst in den nächsten Wahlen noch mehr verlieren würden. Vermutlich hätten wir mit der Opposition in den grossen Fragen mehr Einfluss.
Warum wollen Sie denn in den Bundesrat?
Blocher: Weil man mit dem Einfluss der Oppositionspartei nur in der Verhinderung etwas erreicht. Kreativ können wir nicht viel einbringen, weil wir die Vorlagen nicht selber erarbeiten können. Wir sind bereit, Regierungsverantwortung zu übernehmen.
Haben Sie nicht einfach genug vom Kläffen?
Blocher: Ich bin kein Kläffer. Ich bin ein hoch angesehener, respektierter Kritiker (lacht). Wenn ich Bundesrat werden muss, will ich. Wenn ich’s nicht werden muss, dann nicht.