Chi d’altri può fermare i tiranni e i terroristi?
«Svizzera oltre» del 8 gennaio 2002
Deve la Svizzera aderire all’ONU? Quali sono i motivi sostenuti dai fautori e quali le riserve formulate dagli oppositori? “Svizzera oltre” ha invitato a un dibattito quattro personalità politiche che presentano i rispettivi punti di vista.
Dibattito moderato da Patrick Feuz
Signor Blocher, che cosa ha mai la Svizzera di tanto strano per essere l’unico Stato, con il Vaticano, a restare fuori dall’ONU?
Christoph Blocher: La Svizzera è nell’ONU quasi dappertutto. Versa 500 milioni di franchi all’anno: una grossa somma se paragonata a quella di altri paesi. Ma vi è una cosa che la Svizzera non ha finora fatto: firmare un documento in virtù del quale il Consiglio di sicurezza dell’ONU può obbligare la Svizzera ad adottare misure economiche, politiche e addirittura militari contro altri paesi. Ciò sarebbe contrario alla nostra neutralità che è integrale, scevra da ogni alleanza e permanente; non è dunque applicabile di caso in caso come, per esempio, in Svezia. Ogni Stato ha la sua particolarità. La neutralità è la nostra particolarità. Non dobbiamo sacrificare questo strumento. La neutralità ha aiutato il nostro Paese, sebbene al centro dei più gravi conflitti a causa della sua situazione geografica, a tenersi in disparte dalla guerra per un periodo di 200 anni. Pochi paesi possono vantare un simile bilancio di pace. I conflitti continuano. Alla fine, ogni paese non può che contare su sé stesso.
Bruno Frick: Oggi non vi è più alcun motivo per non aderire all’ONU. Il signor Blocher lo ha affermato: siamo presenti in tutte le sotto-organizzazioni e in quasi tutti i Fondi dell’ONU. Si tratta adesso di compiere l’ultimo piccolo passo per essere membro a parte intera. In questo caso potremo partecipare alle decisioni alla stregua di Appenzello e Uri che sono membri della Svizzera e possono far sentire la loro voce. L’ONU è l’unica organizzazione veramente universale che cerca di risolvere i problemi globali dell’umanità.
Christoph Mörgeli: La nostra visione della Svizzera è diversa, più ambiziosa. Noi non vogliamo semplicemente fare come gli altri, sotto la minaccia psicologica di un gruppo. Vogliamo restare più liberali, più indipendenti e più democratici degli altri. Vogliamo essere un modello e non un riflesso. Chi si trova in fuori gioco? È il nostro Paese che, in tutte le classifiche, figura in prima posizione per quel che concerne il diritto d’essere consultato, il pieno impiego e il sentimento di appagamento? No. I nostri cittadini aperti al mondo non si trovano in fuori gioco. Coloro che invece lo sono, sono il Governo, il Parlamento e l’amministrazione che vogliono ad ogni costo avere voce in capitolo in seno all’ONU. Questa non è la politica estera ch’era stata voluta inizialmente. La neutralità ha pure quale obiettivo di lasciare i cittadini liberi di decidere. Essi non vogliono che il Governo parli a loro nome. Orbene, prima di votare all’Assemblea generale dell’ONU, il Governo non chiederebbe il loro parere.
Alois Riklin: Il suo concetto di governo è contrario alla Costituzione federale. La stessa afferma che il Governo non soltanto deve eseguire, ma anche dirigere, ossia pianificare, proporre e informare. Lei vuol fare del Consiglio federale una sorta di eunuco politico. Se il Consiglio federale fosse puntualmente costretto a chiedere al popolo ciò che deve dire, dovremmo tornare a una democrazia arcaica, come esisteva ad Atene. Ma torniamo alla domanda iniziale: gli elementi essenziali della nostra identità – la democrazia semi-diretta, di milizia, il federalismo, il multiculturalismo, la neutralità, la concordanza – non sono toccati dall’adesione all’ONU. Quali membri dell’ONU, possiamo conservare la nostra neutralità.
Signor Mörgeli, all’indomani degli attentati terroristici contro gli Stati Uniti, lei ha dichiarato che aderendo all’ONU la Svizzera introduce la guerra nel Paese. Lei condivide ancora questa dichiarazione, per numerose persone difficile da capire?
Mörgeli: Ma certamente. Un piccolo Stato liberale non deve impegnarsi in una grande formazione, nella quale la forza primeggia sul diritto. E all’ONU la forza ha la precedenza sul diritto visto che nel Consiglio di sicurezza i cinque membri permanenti godono di un diritto speciale: il veto. I Grandi possono calpestare il diritto; i Piccoli devono chinare il capo. In veste di membri a parte intera, saremmo costretti a partecipare alle sanzioni economiche, a fare la guerra, a permettere il passaggio agli eserciti stranieri, a interrompere il traffico ferro-viario, aereo e la navigazione, a tagliare i collegamenti postali, telegrafici e radio, nonché a rompere le relazioni diplomatiche. Se la Svizzera vuole veramente entrare nell’ONU, in seguito non potrà più uscirne, ma dovrà partecipare ai conflitti. In questo modo si attirerà l’odio di certi paesi e popoli, provocando infine nel paese insoddisfazione e terrorismo.
Riklin: Signor Mörgeli, lei dice che se la Svizzera non fa parte dell’ONU non deve temere gli attentati terroristici. Ma il terrorismo non tiene affatto in considerazione la neutralità degli Stati. A Nuova York sono periti anche degli Svizzeri. A Luxor, le vittime erano in gran parte Svizzeri. E gli aerei di Swissair non sono stati risparmiati dai dirottamenti. Uno Stato non può combattere da solo il terrorismo. Solo un’organizzazione internazio-nale ha la possibilità di riuscirvi.
Blocher: Il terrore è pure alimentato dai conflitti di potere internazionali. I terroristi non sono assassini isolati che chiedono soldi. Essi rappresentano comunità di Stati e gruppi etnici. Ogni paese è dapprima tenuto a controllare che non capiti nulla sul suo territorio. Un tempo, gli stranieri non avevano il diritto di esercitare attività politiche in Svizzera. Oggi, in nome della cosiddetta apertura al mondo, siamo divenuti troppo lassisti. E ora ne paghiamo le conseguenze. Signor Frick, lei non ci ha aiutati quando chiedevamo di porre fine in Svizzera alle manovre politiche che incoraggiavano il terrorismo. In Svizzera si sostiene l’UCK. Nel nostro Paese terroristi pronunciano discorsi del 1. l’agosto. Signor Frick, lei vuole aderire a Schengen, anche questo accordo favorisce il terrorismo. Ma ciò che so-prattutto m’inquieta e che lei vuole firmare la Carta dell’ONU, un documento che ci obbliga a prendere sanzioni contro altri paesi, come l’embargo sui generi alimentari che riduce intere popolazioni alla fame.
Riklin: Per quel che concerne il diritto di veto delle grandi potenze, tengo a sottolineare che, in vasti settori dell’ ONU politica, non è applicato. La Corte penale internazionale è istituita sebbene gli Stati Uniti non vi partecipino. Il divieto delle mine antiuomo sarà proclamato senza che gli Stati Uniti lo abbiano firmato. Non vi è diritto di veto contro le Convenzioni dell’ONU. In merito alle sanzioni militari ed economiche, ricordo che l’articolo 25 della Carta prevede che gli Stati membri devono applicare le decisioni del Consiglio di sicurezza “conformemente alla Carta”. Orbene, al capitolo 7 – articolo 43 – concernente le sanzioni, si può leggere che i membri partecipano a queste misure sulla base di accordi speciali negoziati. Il negoziato prevede la possibilità di dire No. In altre parole, se gli Stati membri sono obbligati a negoziare, non sono tenuti a partecipare alle sanzioni militari. Ogni Stato membro è libero e sovrano. Nessun Stato è finora stato costretto a partecipare ad azioni militari.
Blocher: In virtù dell’articolo 41, il Consiglio di sicurezza può prendere sanzioni politiche ed economiche contro paesi. In questo caso non si citano accordi speciali che permetterebbero di non prendervi parte. Orbene, le sanzioni economiche e politiche sono so-vente più crudeli.
Mörgeli: Ancora nel 1981, il Consiglio federale aveva rilevato che, a causa delle sanzioni militari previste all’articolo 43, l’adesione della Svizzera all’ONU non era compatibile con la neutralità. Da allora, la Carta dell’ONU non è stata cambiata di una virgola. Ma a quanto pare l’interpretazione della neutralità da parte del Consiglio federale.
Frick: A nessuno è vietato d’essere più chiaroveggente. Ma vorrei spendere ancora una parola sul diritto di veto che lei cita tanto volentieri. Si può pure considerare il diritto di veto come un elemento positivo: offre una duplice garanzia, prima che si decretino provvedimenti contro uno Stato. Sia le grandi potenze che l’Assemblea generale devono pronunciarsi. Per ridurre il rischio di guerra, il diritto di veto garantisce che le grandi potenze siano poste in inoranza. All’Assemblea generale, ogni Stato membro dispone di un voto. Ciò significa che Andorra, con i suoi 15000 abitanti, ha lo stesso peso degli Stati Uniti che ne contano 250 milioni. Si tratta della democrazia spinta al parossismo.
Signor Mörgeli, la Svizzera ha compiuto un errore partecipando al boicottaggio economico decretato contro Milosevic e Saddam Hussein?
Mörgeli: L’atteggiamento del Consiglio federale non era comprensibile per la popolazione. Il Governo ha concesso il diritto di sorvolare il nostro territorio durante la guerra del Golfo, ma non lo ha fatto in quella del Kosovo. Inoltre, le sanzioni economiche non colpivano i despoti, bensì la popolazione già povera.
Riklin: La guerra del Kosovo era una guerra della NATO, mentre quella del Golfo è stata condotta sulla base di una decisione dell’ONU. Ma per favore, risponda alla domanda: non avremmo dovuto partecipare alle sanzioni economiche contro il criminale Saddam Hussein? Dovevamo, quale unico paese, continuare a concludere affari con il criminale Milosevic?
Mörgeli: Nel 1945, l’ONU ha accolto il criminale Stalin e la sua Unione sovietica quale “Stato pacifico”. Già a quel momento è iniziata l’ipocrisia. Dal 1945, i membri dell’ONU hanno combattuto centinaia di guerre. Nei confronti di Hussein e di Milosevic avremmo dovuto praticare il cosiddetto courant normal, al posto di sostenere misure che riducono il popolo alla carestia. Il courant normal non significa approfittare di una situazione di guerra.
Riklin: Parlando di ridurre la popolazione alla fame, lei fa propaganda irachena. È noto da tempo che le sanzioni non differenziate sono inique, poiché colpiscono solo i più poveri tra i poveri. Oggi, si dà la priorità alle cosiddette smart sanctions. Si tratta, per esempio, di bloccare i conti dei dirigenti stranieri nelle banche svizzere. Nel caso dell’Iraq, con il programma “Petrolio contro cibo” si è scelta una procedura particolare. Se la stessa funziona male è soprattutto dovuto al fatto che Hussein non vi è interessato. La sorte del popolino non gli importa. Blocher: succede la stessa cosa per qualsiasi embargo sui generi alimentari. Le sanzioni economiche colpiscono sempre i più deboli e i più poveri. In qualità di membro dell’ONU, la Svizzera dovrebbe sostenere le sanzioni economiche, differenziate o meno che siano.
Frick: Come intende condurre alla ragione un regime che semina il terrore? Si deve immediatamente dichiarare la guerra? O si deve semplicemente lasciar fare? Come deve comportarsi il mondo per impedire a un Milosevic di calpestare i diritti dell’uomo e di commettere un genocidio?
Mörgeli: La stragrande maggioranza dei membri dell’ONU non rispetta i diritti dell’uomo più fondamentali. Gli esseri umani sono torturati, non hanno alcuna libertà politica, alla stampa è posta la museruola, i bambini vengono sfruttati e le donne oppresse.
Frick: Rispondete alla mia domanda: come condurre alla ragione un tiranno come Milosevic?
Blocher: Quale piccolo Stato, noi dobbiamo chiederci ciò che possiamo fare. Anche le grandi potenze non lo sanno. Dobbiamo fare in modo che il nostro Stato non sia coinvolto e fornire un aiuto manitario.
Frick: Per me, la questione della neutralità non era determinante nel 1986. Ritenevo che l’ONU fosse inefficace per risolvere i problemi di un mondo bipolare. Ritenevo anche che la Svizzera potesse fornire un miglior contributo alla pace stando al di fuori dell’ONU e dei blocchi. Il mondo bipolare si è disintegrato e la situazione è ora completamente diversa, anche per la Svizzera. Già allora il diritto della neutralità avrebbe permesso l’adesione. Un cambiamento si è invece svolto nella politica di neutralità. Dal 1990, noi partecipiamo a tutte le sanzioni economiche dell’ONU. Anche se il signor Blocher sostiene il contrario, i mezzi economici sono sempre meno impietosi die mezzi militari.
Blocher: La neutralità è uno strumento che sta molto a cuore al popolo svizzero. La neutralità significa non prendere posizione, non schierarsi nei conflitti, non immi-schiarsi. Per essere credibile, essa dev’essere sempre applicata. Essa è molto esigente. Tuttavia, chiunque se ne serva attivamente può fungere da mediatore nei conflitti. Per un governo che si vergogna della neutralità del proprio paese, l’operazione risulta ovviamente più difficile. Noi dovremmo essere neutrali in modo coerente e utilizzare maggiormente la nostra situazione particolare nell’interesse della comunità dei popoli.
Riklin: Lei definisce la neutralità come il non schieramento nei conflitti internazionali. Questo concetto della neutralità è contrario al diritto internazionale pubblico e alla politica sin qui condotta dal Consiglio federale. Noi abbiamo preso posizione quando le truppe del Patto di Varsavia invasero la Cecoslovacchia. Abbiamo pure preso posizione in occasione della rivoluzione ungherese. Ci siamo schierati contro la politica dell’apartheid nel Sudafrica. Nel diritto internazionale pubblico, la neutralità è la non partecipazione di uno Stato alle guerre tra altre Nazioni. Per sapere concretamente cosa ciò significa, occorre risalire alla Convenzione dell’Aja del 1907 concernente la guerra su terra, al diritto usuale dei popoli e, infine, alla politica di neutralità della Svizzera. La neutralità permanente armata non è un impegno per un’imparzialità assoluta. Proprio anche nei confronti dell’ONU, quale rappresentante della comunità degli Stati, non vi è neutralità.
Mörgeli: Attualmente, un solo Stato ha la supremazia nel mondo. Questa superiorità non è compatibile con la sicurezza collettiva così com’è pretesa dall’ONU. Infatti l’ONU non ha truppe proprie. Per fare la guerra è necessario l’intervento degli Stati Uniti e dei loro alleati. Ma nessun Stato non ha ancora fatto la guerra per permettere al diritto di trionfare. Se un paese si lancia in una guerra è sempre perché i suoi interessi lo esigono. Orbene, gli interessi degli Stati Uniti non sono necessariamente i nostri. Un atteggiamento di sottomissione a questa potenza mondiale non è sinonimo di moralità, tutt’al più di opportunismo.
Frick: Non si può parlare di sottomissione. Se Consiglio federale e Parlamento auspicano l’entrata della Svizzera all’ONU è perché sono convinti di certi valori. Vogliamo pronunciarci sulle violazioni dei diritti dell’uomo e rifiutiamo semplicemente di accettare le ingiustizie.
Mörgeli: Il nostro Stato non è un’istituzione morale; esiste unicamente per creare e difendere il diritto. È un’associazione puramente utilitaria che non può pretendere d’essere il tutore morale dei cittadini. Forgiare un ideale e realizzarlo non è mai stato compito di uno Stato di diritto liberale. È unicamente compito di ogni essere umano.
Frick: Anche uno Stato deve agire seguendo principi etici. La politica estera della Svizzera ha il compito di difendere i nostri interessi materiali e spirituali. Per fortuna, la nostra Costituzione federale offre più di una mera base materiale. Possiede anche una base spirituale nella misura in cui essa intende salvaguardare la coesione della comunità della Svizzera e guidarla verso il futuro.
Il signor Blocher vede un potenziale per la Svizzera in qualità di attore di politica estera fuori dall’ONU. Esiste questo potenziale?
Ricklin: Anch’io ritengo che la Svizzera possa, fuori dall’ONU, fare ancora di più rispetto ad oggi. Ma essa può fare almeno ltrettanto in qualità di membro dell’ONU. La Norvegia, per esempio, ha funto da mediatrice tra i Palestinesi e Israele. In Iraq, la Svizzera, nonostante la sua partecipazione alle sanzioni economiche, fornisce un aiuto umanitario nell’ambito del programma alimentare mondiale dell’ONU e attraverso il finanziamento di azioni del CICR.
Blocher: Resto sulle mie posizioni: un paese che è fuori dall’ONU e la cui neutralità è riconosciuta può svolgere un ruolo particolare nei conflitti tra il Consiglio di sicurezza e i vari Stati.
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Christoph Blocher, imprenditore e consigliere nazionale UDC, capofila degli oppositori all’adesione della Svizzera all’ONU.
Bruno Frick, avvocato e consigliere agli Stati PPD, presidente fino alla fine del 2001 della Commissione di politica estera della Camera alta.
Christoph Mörgeli, professore incaricato di storia della medicina all’Università di Zurigo e consigliere nazionale UDC.
Alois Riklin, coeditore del “Neues Handbuch der schweizerischen Aussenpolitik”, professore di scienze politiche all’Università di San Gallo e direttore dell’Istituto di scienze politiche (fino all’estate 2001).
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