Article
Economy
11.04.2000
03.04.2000
Libertà al posto di socialismo
Documento per la conferenza stampa del 3 aprile 2000 Appello ai socialisti di tutti i partiti Consigliere nazionale Christoph Blocher In occasione del congresso Albisgüetli dell'UDC del Cantone Zurigo, tenutosi il 21 gennaio 2000, ho preso posizione sull'intento della sinistra politica, culturale e sociale - situazione in atto da diversi mesi - di voler relegare a movimento fascista gran parte della popolazione svizzera. A quei socialisti che parlano tanto disinvoltamente di fascismo avevo chiesto di rendersi conto che con la loro beatificazione dello Stato onnipresente, con l'accentuazione eccessiva del collettivo e con la violazione della libertà del singolo individuo erano ben più vicini alla concezione che il mondo ha del fascismo che non l'UDC. Come conseguenza, il PSS ha tentato di ostacolare - attraverso minacce e ultimatum - un dibattito sui valori reali alla base del socialismo e sul totalitarismo del secolo appena trascorso. Ciò che a prima vista può essere considerato un batti e ribatti politico tra l'UDC e il PSS, costituisce in realtà un importante chiarimento di fondamentali posizioni politiche e sociali. In un appello fondamentale ai socialisti di tutti i partiti dal titolo "Libertà al posto di socialismo" approfondisco le mie affermazioni fatte in occasione del congresso Albisgüetli. Evidenzio come le radici ideologiche comuni di nazionalsocialismo e socialismo andavano ricercate nei seguenti obiettivi: un potere possibilmente illimitato dello Stato in ogni settore della vita (statalismo), l'accentuazione eccessiva della collettività (collettivismo) e la violazione della libertà delle singole persone (antindividualismo, antiliberalismo). Contrariamente al totalitarismo bruno e rosso, chiediamo libertà al posto di repressione, democrazia invece di dittatura, economia di mercato al posto di economia pianificata, concorrenza tra più partiti invece di un sistema a partito unico, stato di diritto al posto di terrore, libertà di pensiero al posto di censura. Sia il nazionalsocialismo, sia il fascismo sono stati vinti militarmente e, quindi, banditi legalmente. Il socialismo, invece, ha vissuto solo una bancarotta sul fronte economico e intellettuale e può dunque risorgere in ogni momento e dappertutto. Contrariamente alle atrocità commesse dai nazisti, quelle dei regimi socialisti, con i suoi 100 milioni di morti, sono conosciute solo a una piccola parte dell'opinione pubblica. E questo benché diversi grandi pensatori del 20° secolo avessero già analizzato seriamente le radici comuni del totalitarismo di entrambi i terribili sistemi. Le reazioni dei socialisti a tali riconoscimenti sono stati e sono tuttora sentimenti di rabbia, in quanto è doloroso dover constatare di avere sostenuto o minimizzato un sistema politico che ha numerosi punti in comune con il nazionalsocialismo. Negli ultimi tempi, sotto la guida di teorici di sinistra, il PSS si è allontanato sempre più dai principi riformatori della socialdemocrazia trasformandosi in un partito socialista a tutti gli effetti. Contrariamente alla socialdemocrazia britannica o tedesca, questo partito è molto meno disposto a intraprendere nuove vie più moderne. Il suo programma di partito del 1982, con la sua richiesta di "superamento del capitalismo", è tuttora in vigore. Si tratta di un aspetto alquanto inquietante, poiché senza proprietà privata e senza libero mercato non vi è né libertà per i cittadini, né benessere, né sicurezza sociale. Agli inizi del 1937, la "Neue Zürcher Zeitung" riportava: "L'antifascismo dei comunisti e l'anticomunismo dei fascisti - in fin dei conti si tratta di una lite di famiglia nell'ambito del settore totalitario del mondo". Che il PSS sia rimasto immune alle cause fatali del fascismo, del nazionalsocialismo e del socialismo - l'"anticapitalismo" e i sentimenti rivoluzionari e antidemocratici, come vuole darci a intendere, è una storiella ben orchestrata dalla sinistra. Negli anni Ottanta il PSS cercò la vicinanza delle dittature socialiste dell'Europa orientale, fino al crollo die regimi nel 1989. Oltre al collettivismo e all'onnipotenza dello Stato, la causa del terrore seminato dal nazionalsocialismo e dal socialismo parte da un'immagine pessimistica dell'uomo, stando alla quale l'uomo è troppo debole per provvedere a sé stesso, e ha bisogno di una costante assistenza possessiva dello Stato. L'economia dirigista e il centralismo rappresentano insieme mali fondamentali tanto quanto la solidarietà prescritta dall'alto. Occorre rimanere all'erta, in quanto anche la politica svizzera mostra crescenti tendenze verso il totalitarismo: l'indottrinamento della propaganda di Stato fa scuola anche nel nostro Paese, mentre la richiesta di un "primato della politica" non lascia più spazio privato al singolo individuo. La proposta presentata recentemente al Consiglio nazionale in merito alla creazione di un'istanza pubblica che esamini la veridicità e la falsità degli argomenti presentati nelle campagne elettorali, ricordano il "ministero della verità" totalitario descritto da George Orwell. Negli ultimi vent'anni il nostro Paese si è gradatamente allontanato dalla via della libertà per incamminarsi sempre più su sentieri socialisti. Oltre a riconsiderare il passato della loro ideologia e le sue radici comuni con altre correnti totalitarie, i socialisti di tutti i partiti sono chiamati a occuparsi della questione di come sarà il socialismo del futuro. Alle soglie del 21° secolo occorre liberarsi, in qualità di uomini liberi in una società democratica retta dell'economia di mercato, da quel socialismo che prova disprezzo per l'umanità. Il nostro Paese non deve farsi integrare in un'Unione europea dalle strutture prevalentemente socialiste, bensì tornare a essere un modello del liberalismo grazie alle prestazioni straordinarie dei nostri cittadini e, quindi, a un caso speciale. In tal modo torniamo al concetto fondamentale dello Stato svizzero: la libertà! Allegato:
01.04.2000
Freedom not socialism
A call addressed to socialists in all parties, April 2000
15.03.2000
Die Bilateralen an ihren Inhalten messen
Interview mit dem Tages-Anzeiger vom 15. April 2000 SVP-Kantonalpräsident Christoph Blocher bleibt dabei: Er will nicht in den Abstimmungskampf um die bilateralen Verträge ein- greifen, tut seine Meinung aber trotzdem kund. Die kantonale SVP-Delegiertenversammlung hat am Donnerstag zu den bilateralen Verträgen die Nein-Parole beschlossen. Der Entscheid ist aber mit 171 gegen 168 Stimmen so knapp ausgefallen, dass man von einem Zufallsmehr oder Patt sprechen könnte. Wäre nicht die Stimmfreigabe der richtige Schluss gewesen? Blocher: Das stimmt. Wenn der Antrag aus den Reihen der Mitglieder gekommen wäre, hätte ich ihn unterstützt. Aber ich wollte ihn als Präsident und Versammlungsleiter nicht selber stellen. Wie interpretiert das Parteibüro jetzt seinen Auftrag? Lanciert die kantonale SVP im Hinblick auf den 21. Mai eine überzeugte Nein-Kampagne oder eine halbherzige, die den Willen der grossen Minderheit respektiert? Blocher: Eine Kampagne gibt es nicht. Es ist nicht unsere Gewohnheit, zu nationalen Vorlagen einen Abstimmungskampf zu führen - ausser es handle sich um grundlegende Themen wie den EWR- oder den EU-Beitritt, wo wir keine knappen Parolen beschliessen. Sie selber haben sich an der Delegiertenversammlung nicht zu Wort gemeldet. Blocher: Als Versammlungsleiter halte ich mich stets zurück. Ich habe meine Meinung zu den bilateralen Verträgen schon vor der Schlussabstimmung im Parlament im letzten Oktober geäussert und von einem Referendum abgeraten. Es hat einfach keinen Sinn, einen Kampf zu führen, wenn nachher sowieso wieder derselbe EU-gläubige Bundesrat neue Verhandlungen führen müsste. Darin hat sich meine Haltung nicht geändert. Schweigen Sie auch heute Samstag an der Delegiertenversammlung der SVP Schweiz? Blocher: In Appenzell spreche ich zur Europapolitik als solcher, das ist etwas anderes. Man soll die Bilateralen an ihren Inhalten messen und nicht an der Souveränitätsfrage. Eine Vermutung: Als Parteipräsident halten Sie sich trotz Ihrer öffentlichen Kritik am Bundesrat punkto Bilaterale vornehm zurück, sorgen aber hinter den Kulissen schon dafür, dass durch Ihre Parteikollegen Hans Fehr und Ulrich Schlüer und in der Aktion für eine unabhängige und neutrale Schweiz (Auns) gegen die Vorlage Stimmung gemacht wird. Blocher: Die Auns hat beschlossen, keine Stellung zu beziehen. Sie äussert sich nur zu Fragen, welche die Unabhängigkeit und Neutralität der Schweiz betreffen. Im Auns-Vorstand gab es zu den Bilateralen drei Anträge: einen Antrag, keine Parole zu fassen, weil sie kein Auns-Thema seien; einen Antrag auf eine Ja-Parole, weil die Bilateralen faktisch einen EU-Beitritt verhindern; und einen Antrag auf eine Nein-Parole, weil das doppelte Spiel des un- glücklich agierenden Bundesrats zu einem schlechten innenpolitischen Recht führen werde. Wir entschieden uns für den ersten Antrag, nämlich keine Parole zu fassen. Für die Auns-Versammlung eine Woche vor der Abstimmung ist das Geschäft nicht traktandiert, doch viele Mitglieder werden es behandeln wollen. Sie meinen immer, die Auns sei eine Partei. Doch die bilateralen Verträge sind ein politisches Thema ausserhalb der Auns-Bandbreite. Was Hans Fehr und Ulrich Schlüer als Nationalräte sonst unternehmen, kann und will ich nicht bestimmen. Herr Blocher, wer mit anschaut, auf wie vielen Hochzeiten Sie als Politiker, "Heimatschützer" und Chemieunternehmer mit vorweggenommenem Anschluss an den europäischen und internationalen Wirtschaftsraum tanzen, fragt sich, ob es den "widersprüchlichen" Christoph Blocher eigentlich nie in Stücke reisst. Geht es Ihnen gut? Blocher: Da unterstellen Sie mir jetzt etwas viel. Meine Persönlichkeit ist nicht widersprüchlich, sie ist eine Einheit, eine Stärke, darum kann ich ja so aktiv sein. Wir verkehren mit allen Staaten freundschaftlich, auf politischem, kulturellem und wirtschaftlichem Gebiet, aber wir lassen uns nie vereinnahmen. Diese Überzeugung vertrete ich als Politiker, Unternehmer und Mensch. Natürlich gibt es Interessengegensätze. Die bilateralen Verträge bringen aus unternehmerischer Sicht gewisse Vorteile, zum Beispiel billigere Leute durch den freien Personenverkehr. Für das Gesamtinteresse des Landes, für den Bürger und den Wirtschaftsstandort, bringen sie aber Nachteile, eine starke Steuerbelastung und Arbeitslosigkeit. Deshalb muss ich die Interessen als Unternehmer eben zurückstellen. Ich wehre mich nicht gegen Weltoffenheit, das wäre nicht einmal aus wirtschaftlicher Sicht richtig. Aber ich wehre mich gegen die Einbindung.
26.01.2000