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01.01.2003
1 gennaio 2003
Care concittadine, cari concittadini
Capodanno 2003! - Inizia un nuovo anno. Ci lasciamo alle spalle quello vecchio!
In merito alla situazione economica
Sotto il profilo economico, il 2002 è stato un anno difficile. Non solo in Europa. Anche in America e in Giappone. È stato un anno negativo per tutti, e naturalmente anche per la Svizzera.
L'anno scorso siamo stati confrontati con diverse situazioni. - Dopo un periodo che era stato economicamente favorevole: in questa fase, purtroppo, in molte aziende si sono adottate pratiche inaudite. Tra gli organi dirigenti alcune persone avevano l'impressione di potersi servire a piacere delle casse delle società che erano state loro affidate! Si sono riscontrate lacune nella conduzione. Si sono verificati numerosi licenziamenti.
L'attuale situazione negativa degli ordini è la conseguenza delle attività aziendali degli ultimi anni. Ci lasciamo alle spalle due anni di recessione e anche l'anno prossimo non sarà migliore!
Eppure constatiamo una tendenza che ci fa ben sperare: le aziende che per anni hanno lavorato seriamente offrendo una buona qualità non si lamentano nemmeno in questi momenti difficili. Non fanno fatica e non devono lottare per sopravvivere come gli altri. Sono aziende solide che lavorano secondo i principi svizzeri. Sono ditte che mettono in risalto la loro qualità e non la loro grandezza.
Determinante per il successo è la qualità dei prodotti e delle prestazioni. Non appena l'economia tornerà a rendersene conto, allora sarà giunto il momento in cui si darà il via al prossimo rilancio della congiuntura. Ne sono fermamente convinto - Sono convinto che dopo il 2004 ci riprenderemo. L'economia dovrà però correggere dapprima gli errori del passato.
In merito alla situazione politica
In politica le cose sono tutt'altro che rosee. Anche lì si sono manifestate le stesse manie di grandezza osservate nell'economia. Lo Stato ha speso ben più di quanto si potesse permettere. Ciò vale sia a livello della Confederazione che in ambito cantonale. Le spese sono aumentate anno dopo anno. Ci si era fatta la falsa opinione che il moto rialzista non si sarebbe arrestato mai, che il denaro disponibile sarebbe aumentato costantemente!
Oggi ci viene presentata la fattura: le elettrici e gli elettori, tutti i nostri contribuenti, le nostre concittadine e i nostri concittadini devono pagare sempre più contributi, tasse e imposte. Per vivere rimane sempre meno.
Chi voleva che si procedesse a qualche correzione, invitando lo Stato a risparmiare, veniva deriso. - Oggi questi errori sono visibili e tangibili.
Si è cercato di copiare i grandi modelli esteri, poiché si era del parere che la Svizzera fosse troppo piccola e che occorresse aderire ai grandi organismi internazionali come l'Unione europea.
Oggi le persone aprono gli occhi. Si rendono conto che così non si può andare avanti. Per questa ragione si devono operare correzioni anche a livello politico. Ciò è possibile. Sono anni che l'Unione Democratica di Centro propone soluzioni.
- Cosa bisogna fare affinché le persone siano nuovamente in grado di permettersi la cassa malati?
- Cosa bisogna fare affinché nelle scuole i bambini imparino nuovamente a leggere e scrivere bene?
- Cosa bisogna fare per avere sufficiente denaro per vivere anche dopo avere pagato le tasse?
- Cosa bisogna fare per salvaguardare la nostra libertà e indipendenza?
- Cosa bisogna fare affinché si cessi di abusare del diritto d'asilo?
Tutti questi punti sono stati ignorati. Constato però con piacere che oggi siamo in grado di comprendere cosa sta accadendo! Numerose persone stanno correggendo il loro modo di pensare. I valori svizzeri tornano a essere richiesti:
- libertà
- indipendenza
- autoresponsabilità
- modestia
- una qualità elevata torna a essere la chiave del successo!
La Berna federale non ha invece ancora preso atto di questo processo. I media e gli altri partiti se la prendono con l'Unione Democratica di Centro che vuole cambiare questo stato di cose. Possiamo comunque essere fiduciosi, poiché alla base, tra le cittadine e i cittadini, qualcosa sta cambiando.
Quest'anno si terranno le elezioni. È importante che l'UDC vinca le elezioni. Solo in questo modo sarà possibile cambiare qualcosa. È solo in questo modo che si potranno rimettere a posto le cose: saremo finalmente in grado di permetterci i premi delle casse malati, potremo finalmente pagare meno imposte, potremo contare su una maggiore sicurezza, cesseranno gli abusi del diritto d'asilo e anche gli Svizzeri torneranno a essere orgogliosi di sé stessi!
Nell'anno elettorale 2003, voi, elettrici ed elettori, care concittadine e cari concittadini, avete la possibilità di operare il cambiamento.
Questo cambiamento del modo di pensare della società dovrebbe indurre anche i media a modificare il loro atteggiamento, cessando di ignorare la volontà popolare.
Riassunto
Riassumendo posso dire di essere fiducioso per il 2003. Sono convinto che
- quest'anno l'economia porrà le basi per degli anni successivi migliori
- alla testa delle società gli incapaci scompariranno
- torneranno a essere in voga la qualità e la serietà svizzera
- in politica e alle elezioni vincerà il partito che è in grado di cambiare i punti lacunosi summenzionati e che ha pronte le soluzioni
- i media, sotto la pressione dei lettori, debbano iniziare a operare un ripensamento.
Care concittadine, cari concittadini, vi auguro un buon 2003!
Sono fiducioso che con il vostro contributo risolveremo i problemi che si sono venuti a creare negli ultimi tempi! Penso che esistano le premesse al riguardo.
Buon anno! - Arrivederci.
Christoph Blocher, consigliere nazionale, UDC
01.01.2003
Liebe Mitbürgerinnen und Mitbürger
Neujahrstag 2003! - Ein neues Jahr beginnt. Das alte ist vorbei!
Zur wirtschaftlichen Situation
2002 war wirtschaftlich ein hartes Jahr. Nicht nur in Europa. Auch in Amerika und in Japan. Es lief überall schlecht. Das betrifft natürlich auch die Schweiz.
Bei uns hat man im vergangenen Jahr verschiedene Dinge erlebt. - Nach einer Zeit, in der es wirtschaftlich gut gelaufen ist: In sehr vielen Betrieben wurden in dieser guten Phase leider himmelschreiende Praktiken angewandt. An den Führungsspitzen hatten gewisse Leute das Gefühl, sie könnten sich nach Lust und Laune aus der Kasse des ihnen anvertrauten Unternehmens bedienen! Führungsmängel traten zu Tage. Es kam zu Entlassungen.
Dass die Auftragslage heute schlecht ist, ist die Folge der Geschäftstätigkeiten in den guten Jahren. Jetzt leben wir bereits seit zwei Jahren in der Rezession. Das nächste Jahr wird noch nicht besser sein!
Aber es gibt auch Tröstliches festzustellen: Betriebe, die seit Jahren seriös und gut arbeiten, klagen auch in dieser schwierigen Zeit nicht. Sie haben keine Mühe und müssen nicht ums Überleben kämpfen, wie die anderen. Das sind solide Unternehmen, die nach schweizerischen Prinzipien arbeiten. Es sind Firmen, die ihre Qualität und nicht ihre Grösse in den Vordergrund stellen.
Die Qualität von Produkten und Leistungen ist ausschlaggebend für den Erfolg. Sobald diese Einsicht in der Wirtschaft wieder vermehrt an Bedeutung gewinnt, wird die nächste Hochkonjunktur ihren Anfang nehmen. Davon bin ich überzeugt. - Ich bin überzeugt, dass es nach 2004 wieder bergauf gehen wird. Zuerst müssen in der Wirtschaft jedoch die Fehler der Vergangenheit korrigiert werden.
Zur politischen Situation
In der Politik sieht es nicht schön aus. Auch dort ist der gleiche Grössenwahn am Werk gewesen, wie in der Wirtschaft. Der Staat hat weit über seine Verhältnisse hinaus Geld ausgegeben. Dies gilt sowohl auf Bundes-, als auch auf kantonaler Ebene. Die Ausgaben stiegen Jahr für Jahr. Man war der irrigen Meinung, es gehe immer weiter bergauf, und es stehe immer mehr Geld zur Verfügung!
Heute kommt die Rechnung: Die Stimmbürgerinnen und Stimmbürger, alle unsere Steuerzahler, alle Mitbürgerinnen und Mitbürger haben heute immer höhere Gebühren, Abgaben und Steuern zu zahlen. So bleibt immer weniger zum Leben.
Wer Korrekturen machen wollte, und den Staat zum Sparen aufforderte, wurde ausgelacht. - Heute werden diese Fehler sicht- und spürbar.
Man hat den ausländischen Grossmodellen nachgeeifert, weil man meinte, die Schweiz sei zu klein, und man müsse sich den grossen internationalen Organisationen wie der Europäischen Union anschliessen.
Heute werden die Leute nüchterner. Sie sehen, so geht es nicht mehr weiter. Darum müssen auch auf politischer Ebene Korrekturen gemacht werden. Das ist möglich: Die Schweizerische Volkspartei hat während Jahren Lösungsvorschläge gemacht.
Was muss gemacht werden, damit die Leute die Krankenkassen wieder zahlen können?
Was muss gemacht werden, damit die Kinder in den Schulen wieder richtig lesen und schreiben lernen?
Was muss gemacht werden, damit wir wieder die Steuern bezahlen können und trotzdem noch genug Geld zum Leben haben?
Was muss gemacht werden, dass unsere Freiheit und Unabhängigkeit erhalten bleibt?
Was muss gemacht werden, dass der Asylrechtsmissbrauch aufhört?
All diese Punkte wurden in den Wind geschlagen. Erfreulich ist, dass wir heute begreifen! Bei sehr vielen Leute beginnt ein Umdenken. Die schweizerischen Werte sind wieder gefragt:
Freiheit
Unabhängigkeit
Selbstverantwortung
Bescheidenheit
hohe Qualität wird wieder zum Erfolgsrezept
Aber in Bundesbern hat man von diesem Umdenkungsprozess noch nichts bemerkt. Die Medien und die anderen Parteien "hacken" auf die Schweizerische Volkspartei ein, die dies ändern will. Aber wir können dennoch zuversichtlich sein, weil unten, bei den Bürgerinnen und Bürgern, Bewegung in Gang kommt.
In diesem Jahr finden die Wahlen statt. In diesem Jahr ist es wichtig, dass die Schweizerische Volkspartei die Wahlen gewinnt. Nur so wird eine Änderung stattfinden können. Nur so werden die Dinge wieder in Ordnung gebracht: Dann werden wir endlich wieder unsere Krankenkassenprämie bezahlen können; dann werden wir auch wieder weniger Steuern bezahlen müssen; dann werden wir wieder mehr Sicherheit haben; dann wird auch der Asylmissbrauch aufhören, und dann wird auch das schweizerische Selbstbewusstsein wieder gepflegt werden!
Sie, die Stimmbürgerinnen und Stimmbürger, Sie liebe Mitbürgerinnen und Mitbürger, Sie können das im Wahljahr 2003 entscheiden.
Dass in unserer Gesellschaft ein Umdenkungsprozess stattfindet, ist auch Voraussetzung dafür, dass die Medien ihre Haltung ändern und nicht mehr einfach über die Köpfe hinwegschreiben.
Zusammenfassung
Zusammenfassend bin ich zuversichtlich für das Jahr 2003. Ich bin überzeugt, dass
in diesem Jahr in der Wirtschaft die Grundlagen gelegt werden für kommende gute Jahre
die Unfähigen an den Führungsspitzen der Unternehmen verschwinden werden
wieder schweizerische Qualität und Seriosität Einzug halten werden
in der Politik und bei den Wahlen die Partei gewinnt, die diese erwähnten mangelhaften Punkte ändern kann, und die die Lösungsvorschläge auf dem Tisch hat
die Medien unter dem Druck ihrer Leserschaft mit einem Umdenkungsprozess beginnen müssen.
Ich wünsche Ihnen, liebe Mitbürgerinnen und Mitbürger, ein gutes Jahr 2003!
Ich bin zuversichtlich, dass die Missstände, die wir gehabt haben, verschwinden, wenn Sie mithelfen! - Ich denke, die Voraussetzungen dafür sind gegeben.
Ein gutes neues Jahr! - Ade metenand.
Christoph Blocher, Nationalrat, SVP
01.01.2003
1 January 2003
Fellow Citizens of Switzerland,
New Year's day 2003! - A new year has begun, the old year is over!
The economic situation
2002 was a rough year, not only in Europe, but also in America and Japan. The global economy remained in low gear, obviously with repercussions for Switzerland, too.
Here in Switzerland, the past year was marked by various events. - Following a period of good economic development, outrageous practices were exposed in numerous companies, a number of top managers felt entitled to help themselves from the coffers of the companies they were entrusted with! Management deficiencies became apparent, jobs were lost.
The fact that the orders situation is so bad today can be attributed to the business practices applied in the good years. We have already experienced two years of recession, and no improvement is in sight for the coming year!
Fortunately, every cloud has a silver lining. Complaints from companies that based their activities on a solid foundation are few and far between even in these difficult times. They are not hard-pressed to secure their survival. These are rock-solid businesses that embrace Swiss principles, companies that march to the tune of quality and not size.
Product and service quality is decisive for success. And as soon as this realisation recaptures the hearts and minds of the captains of industry, the next economic upswing will be just around the corner. I am convinced that this is a vital prerequisite. - And I am convinced that things will move forward again in 2004. However, the economic blunders of the past will first have to be remedied.
The political situation
The political picture is not a pretty one. Megalomania has raised its ugly head in this field too. The state spent far more than the country can afford, both on a federal and on a cantonal level. Expenditure is growing by the year. It was assumed - wrongly - that the economy would continue to shine ever more brightly, and that revenues would continue to grow correspondingly!
And now the time has come to foot the bill: the people of Switzerland are being asked to pay ever-rising fees, charges and taxes. And are left with an ever-decreasing amount of money to actually live on.
The people who wanted to apply the brakes, who told the government it was time to start saving for rainy days, were ridiculed. - Now these mistakes have come home to roost.
Grand foreign structures and designs were embraced as ideals to be emulated. Switzerland, it was said, is too small, and should therefore join major international organisations such as the European Union.
Now, of course, more rational views are gaining the upper hand. People see that things cannot go on as before. Corrections are required on the political level, too. And this is by no means impossible: over the past years, the Swiss People's Party presented a number of possible solutions to urgent problems:
- What must be done so the people can pay their health insurance premiums again?
- What must be done so the children learn to read and write properly again?
- What must be done so we can pay our taxes and still be left with enough money to live on?
- What must be done to ensure our freedom and independence?
- What must be done to stop our asylum system from being abused?
All the proposals were ignored. However, many people have now come to the conclusion that reassessment is urgently required. Swiss values are regaining the upper hand:
- Freedom
- Independence
- Self-responsibility
- Modesty
- High quality as a recipe for success!
Yet the federal government in Berne remains oblivious to this reorientation process. The media and the other political parties continue to heap scorn on the People's Party and its attempts to bring about change. But optimism is nevertheless warranted, because this shift has begun at the grass-roots level.
This year, the voters of Switzerland will elect a new parliament. This year, it is important that the Swiss People's Party wins the elections. This is the only way change can be initiated, the only way to get our country back into running order again: so we can once again pay our health insurance premiums, so we can reduce the tax burden, so we can enjoy better safety and security, so we can stop asylum abuse - and so we can rebuild our national confidence!
It is up to you, the Swiss voters, to decide Switzerland's future course in the election year 2003.
The fact that a reorientation process is taking place in our society should also be reflected in the Swiss media; they must sit up and take notice of what the people of Switzerland really want.
Summary
All in all, I enter the new year with optimism. I am convinced that
- this year the economic foundation for good years to come will be laid;
- incompetent executives will be banished from the top echelons of corporate management;
- Swiss quality and sound business practices will make a comeback;
- in politics in general as in the elections in particular, the party that has the remedies for aforementioned problems will win;
- the media will have to bow to the pressure of its readers and start to rethink their positions.
I wish you, my fellow citizens of Switzerland, a good 2003!
I am confident that the ills we have been experiencing will respond to the right corrective measures - with your help! The prerequisites for betterment are at hand.
A Happy New Year and Best Wishes to all of you!
Christoph Blocher, MP (National Council), Swiss People's Party
31.12.2002
Der Unternehmer Christoph Blocher über Abzocker, seinen Lohn und die
Vorteile militärischer Führung.
Interview mit "FACTS" vom 31. Dezember 2002
Lukas Hässig und Nadja Pastega
FACTS: Herr Blocher, vor welchem Wirtschaftsführer haben Sie noch
Respekt?
Christoph Blocher: Vor allen, die ihre Firma ordentlich führen. Es gibt
mehr gute Firmen als schlechte. Auch unsere Firma ist in Ordnung. Ich
kenne aber auch andere. Es sind nicht zufälligerweise gerade jene
grossen Flaggschiffe, die früher hochgejubelt wurden und bei denen man
heute nicht viel Respekt haben kann.
FACTS: Was haben CS, Rentenanstalt und ABB falsch gemacht?
Blocher: Erstens haben sie sich einseitig auf Wachstum und Grösse
ausgerichtet: Grössenwahn als Triebfeder. Zweitens haben die CEOs
unbrauchbare Management-Methoden angewendet, die nur in der
Hochkonjunktur funktionieren: Mit dauernder Umorganisation, mit
Gutachten und Beratern, mit Akquisitionen und Fusionen kann man keine
Firma führen. Und drittens haben zu viele Manager vor allem von den
Unternehmen gelebt statt für die Unternehmen. Sie haben vergessen, was
ein Unternehmer ist. Ein Unternehmer ist einer, der in erster Linie für
die Firma schaut und nicht von ihr zehrt. Das alles ist jetzt ans
Tageslicht gekommen. Insofern war 2002 ein hoffnungsvolles Jahr, weil
das endlich aufgeflogen ist.
FACTS: Wie konnte es so weit kommen? Sie haben das Wort «Grössenwahn»
gebraucht, das im Widerspruch steht zur Tradition dieses Landes.
Blocher: Die traditionellen Schweizer Werte sind in den letzten zehn
Jahren über den Haufen geworfen worden. Grössenwahn gabs aber nicht nur
in der Wirtschaft, sondern auch in der Politik. In den nächsten Jahren
wird man sehen, was in der Politik alles falsch gemacht wurde. Sie sehen
es an den riesigen Defiziten, an den Staatsschulden, an der Preisgabe
von Werten, die die Schweiz stark gemacht hatten. Die gleichen Manager,
die jetzt verdammt und rausgeworfen werden, standen vor fünf Jahren
zuoberst auf dem Podest. Der Fehler war nicht, dass man sie rausgeworfen
hat, sondern dass man sie hochgejubelt hat. Sonst wäre es gar nicht so
weit gekommen.
FACTS: Wo muss noch bereinigt werden?
Blocher: Wir haben erst die Spitzen des Eisbergs gesehen. Vielleicht die
spektakulärsten Fälle. Man muss nur nachschauen, wer wie viele
Unternehmen dazugekauft hat. Dort ist der wunde Punkt. Mikron zum
Beispiel war eine gute Maschinenfabrik mit hochqualifizierten Produkten.
Dann kaufte sie etwas Fremdes aus dem Telekombereich, was damals ein
Boom war. Davon hat sie nichts verstanden und ist zusammengekracht. So
geht es vielen. Darum hing während 20 Jahren hinter meinem Pult ein
berühmtes Bild von Albert Anker: «Schuhmacher Eisele». Darunter hab ich
hingeschrieben: «Schuster, bleib bei Deinem Leisten!» Immer, wenn ein
Direktor zu mir kam, musste er dieses Bild anschauen. Die Schweiz war
nie erfolgreich dank Grösse. Wichtig war Qualität, Gewinn, Reserven.
FACTS: Können Verwaltungsräte, die ein Unternehmen in diese Situation
geführt haben, überhaupt korrigieren, oder braucht es neue Leute?
Blocher: Es braucht neue Leute. Es ist auch eine Mentalitätsfrage, ob
man Grösse oder Qualität in den Vordergrund stellt. In den
Führungsetagen achtet man zu sehr auf Leute mit Klang und Namen. Das ist
unnötig. Deshalb tauchen auch immer wieder die gleichen Namen auf. Es
braucht Leute, die ein solides Führungshandwerk beherrschen. Auch all
die grossen Managementtheorien sind überflüssig.
FACTS: Worin besteht ein solides Führungshandwerk?
Blocher: Es ist relativ einfach: Es fängt beim Auftrag an. Dieser -
nicht der Mensch - steht im Mittelpunkt. Man hat die eigenen Stärken
herauszufinden, darauf aufzubauen, das zu tun, was realisierbar ist.
Dann kommt die Mühsal des raschen Vollzugs. Eine Strategie ist auf dem
Papier immer toll. Sie ist nie falsch. Die Frage ist nur, ob man sie
durchsetzen kann. Und hier fehlt mancherorts das Einmaleins der
Unteroffiziersschule. Dort lernt man mit 21 Jahren, wie man sechs
Soldaten führt. Man lernt die drei K: Kommandieren, kontrollieren,
korrigieren. Wer etwas anordnet, muss es kontrollieren und korrigieren.
Mühselige Kleinarbeit.
FACTS: Man hört den Oberst Blocher heraus: Führen heisst befehlen.
Blocher: Befehlen - Auftrag erteilen - ist ein Teil. Das Durchsetzen -
den Erfolg erzielen - braucht mehr. In den guten Jahren ist das weniger
zur Geltung gekommen. Oft hatte einer auch Erfolg, ohne etwas
beizutragen. Man hat den Chef eigentlich gar nicht gebraucht, so gut
ging es. Die Bankdirektoren konnten doch nichts dafür, dass sie solche
Gewinne erzielten, nur weil die Börse 25 Prozent stieg. Doch sie sagten:
«Wir haben so hohen Gewinn, also sind wir gute Manager.» Dabei kann man
dies nur in schwierigen Zeiten beurteilen.
FACTS: Brauchts mehr Kontrolle?
Blocher: Nur nicht zu viel vorschreiben. Einfache Lösungen. Das Problem
sind die grossen Publikumsgesellschaften. Das liegt daran, dass es hier
keine fassbaren Eigentümer gibt. Das Eigentum ist pulverisiert. Wenn sie
hunderttausend Eigentümer haben, dann gibts in Wirklichkeit keinen
Eigentümer mehr. Wie beim kommunistischen System, dort sind ja auch alle
Eigentümer, aber es gibt keinen, der das Eigentum schützen kann. Darum
entsteht eine Nomenklatura. So sind unsere grossen Verwaltungsräte zur
Nomenklatura verkommen. Sie können machen, was sie wollen, weil kein
Eigentümer zum Rechten schauen kann. Deshalb ist es für den Schutz des
Eigentums absolut notwendig, dass die oberste Führung wenigstens die
eigenen Saläre und Bezüge veröffentlicht, jährlich, mit Namen. Dies zum
Schutz des Privateigentums. Das Zweite: Man muss das Depotstimmrecht der
Banken abschaffen. Man kann einen Verwaltungsrat heute nicht
auswechseln, denn die Banken müssen mit dem Depotstimmrecht für den
Verwaltungsrat stimmen. Das ist, wie wenn man sagen würden, wer nicht an
die Urne geht, der stimmt für den Bundesrat.
FACTS: Die Depotstimmen haben oft die Mehrheit?
Blocher: Sie sind oft massgebend, wo gros-se Aktionäre fehlen. Das muss
verschwinden. Es muss so geregelt sein, dass eine ausdrückliche,
schriftliche Vollmacht vorliegen muss für einen bestimmten Entscheid.
FACTS: Brauchts eine Obergrenze bei den Löhnen?
Blocher: Nein. Bei sehr guten Leistungen und Erfolg ist die Frage, ob
zehn oder eine Million, nicht massgebend. Doch nur wenn die
Entschädigung extrem erfolgsabhängig ist, sind zehn Millionen
gerechtfertigt.
FACTS: Wie viel verdienen Sie?
Blocher: 370'000 Franken, im letzten Jahr.
FACTS: Alles inklusive?
Blocher: Ja, weil ich keinen Bonus beziehen konnte. Wir hatten das Ziel
nicht erreicht, also gabs keinen Bonus. Als es sehr gut ging, habe ich
1,5 Millionen verdient. Ein System, das auch für meine Direktoren gilt.
Sie haben kleine Löhne, im Durchschnitt 200'000 Franken. Aber wenn sie
sehr gut arbeiten, können sie in Extremfällen bis auf eine Million
kommen. Das begreifen die Leute auch. Aber die Leute begreifen nicht,
wenn ich letztes Jahr gesagt hätte, ich nehme zehn Millionen als Bonus
heraus, obwohl das Ziel nicht erreicht ist.
FACTS: Wir stecken in einer Wirtschaftskrise. Wird es wieder besser?
Blocher: Davon bin ich überzeugt. Ich glaube, wer ein bisschen
Lebenserfahrung hat und die Wirklichkeit sieht, der weiss, dass es in
der Wirtschaft immer Hochkonjunkturen und Rezessionen geben wird, das
ist vom System her notwendig. Der Mensch macht in guten Zeiten immer
Fehler, im privaten Bereich übrigens auch. Ich habe ganz vernünftige
Leute gesehen, die in der New-Economy zu Geld gekommen sind. Was die mit
diesem Geld gemacht haben, war dann fertiger Blödsinn. So ist es auch in
den Firmen. Mir geht es genauso. Wenn ich heute durch das Unternehmen
gehe, sehe ich so viele Dinge, die ich in den guten Jahren bewilligt
habe und wo ich sagen muss: Das wäre jetzt also auch nicht unbedingt
nötig gewesen. Zum Beispiel ein zu schönes Bürogebäude.
FACTS: Sieben magere und sieben fette Jahre?
Blocher: Ja, der biblische Zyklus gilt (lacht).
FACTS: Jetzt haben wir wie viele magere Jahre? Zwei?
Blocher: Im Grunde hats 1999 angefangen. Am Anfang sehen Sie es eben
noch nicht. Ich fange jetzt wieder an zu investieren für die
Hochkonjunktur. 2003 wirds noch nicht aufwärts gehen. Aber so 2004, 2005
bin ich der Meinung, dass es eine Besserung geben wird.
FACTS: Wann investieren Sie wieder in die Börse?
Blocher: Wir sind keine Finanz-Firma.
FACTS: Sie haben zeitweise viel Geld mit Aktien-Anlagen verdient
Blocher: Auch ein Industrieunternehmen muss seine Mittel entsprechend
bewirtschaften. Auch mit Aktien müssen Sie in der Rezession beginnen.
FACTS: Das heisst, jetzt, wo viele Aktien im Keller sind, ist ein guter
Moment zum Einsteigen?
Blocher: Ja, nur eine Firma, die unten ist, kann rasch höher werden. Ich
kann Ihnen jetzt natürlich keine Anlagerichtlinien geben.
FACTS: Das wäre aber spannend.
Blocher: Ich bringe ein Beispiel, keine Empfehlung: ABB ist jetzt am
Boden. Die geht wahrscheinlich zu Grunde, wenn die Asbest-Sache nicht
gelöst werden kann. Wer hier investiert, verliert das investierte Geld
in diesem Falle. Anderseits halte ich vom Chef, Jürgen Dormann, sehr
viel. Ich habe ihn verfolgt bei der Sanierung von Hoechst. Wenn einer
aus dieser Firma etwas machen kann, dann er. Gelingt es ihm, dann wird
ABB hoch bewertet.
FACTS: Sie haben schon ABB-Aktien gekauft?
Blocher: Ich mache keine Angaben über unser Wirtschaftsportefeuille.
Aber wer hier investiert, der investiert wie in der Forschung: Der
Erfolg ist 50 Prozent.
FACTS: Sie haben vermutlich nicht jetzt bei 4,5 Franken pro Aktien
gekauft, sondern als die Titel bei 2 Franken waren.
Blocher: Sie dürfen nicht stets auf den allerbesten Punkt schauen. Es
sind Risikoanlagen. Ich frage die Leute, die sich bei mir Rat holen:
Können Sie Ihre 20 000 Franken verlieren? Nein? Dann können Sies nicht
machen. Sie müssen das Risiko in Kauf nehmen können.
FACTS: Was empfehlen Sie heute einem jungen Menschen in der Schweiz, der
sich entwickeln möchte?
Blocher: Eine Berufslehre. Nicht studieren gehen. Davon bin ich
überzeugt. Nicht, weil ich selbst diesen Werdegang gemacht habe ...
FACTS: Sie haben doch auch das Gymnasium besucht und studiert.
Blocher: Ja, nach der Berufslehre. Nachher sind alle Wege offen. Leider
habe ich mich bei allen meinen vier Kindern nicht durchgesetzt. Auf
meinen Vorschlag, die Kinder in die Lehre zu schicken, sagten die
Lehrer: «Das wäre Unrecht an Ihren Kindern.» Aber gut, jetzt müssen sie
die Lehre halt bei mir machen. Nach dem Studium ist man niemand, man
fängt bei Null an. Wenn Sie lesen und schreiben können und Sie machen
eine Lehre, haben Sie so einen wertvollen Fundus. Alles andere können
Sie später noch lernen.
FACTS: Kann man eine Karriere planen?
Blocher: Wenn mich einer fragt, wie man eine Karriere macht, sage ich:
Das können Sie gar nicht. Es ist ausgeschlossen, dass Sie das können.
Wenn Sie das wollen, dann gibts keine. Aber machen Sie eine gute, solide
Berufslehre und machen Sie überall, wo Sie sind, die Sache tipptopp, und
zwar unabhängig. Und unabhängig ist man dann, wenn man immer auf den Job
verzichten kann. Dann wird man stark. Sobald man abhängig wird und
denkt, ich darf dieses nicht sagen, ich darf jenes nicht machen, sonst
fliege ich raus, haben Sie nie Erfolg. Weil Sie das Richtige nicht
machen können. Bei Theodor Storm heisst es: «Der eine fragt, was kommt
darnach, der andere, was ist recht, und also unterscheidet sich der
Freie von dem Knecht.» Der Knecht fragt immer, was kommt nachher. Der
Freie sagt, ich mache es richtig, mir ist egal, was passiert. Das muss
man den jungen Leuten mit auf den Weg geben.
18.12.2002
Interview mit der "Bilanz" vom 18. Dezember 2002
Christoph Blocher denkt daran, die EMS-Gruppe von der Börse zu nehmen - oder den Freeflow zu erhöhen. Sein Sohn prüft Varianten, die älteste hält sich als mögliche Firmenchefin bereit. Blochers haben das Unternehmertum im Blut.
von Bruno Affentranger
Die Familie ordnet sich neu. Noch einmal bittet der Fotograf zum Gruppenbild. Der auf einem Stuhl sitzende Vater zieht zwei seiner Töchter zu sich und sagt: "So! Kommt ein wenig nach vorne. Ihr seid diejenigen, die man sehen soll." Die älteste Tochter, Magdalena, sagt: "Sieht aus, als ob Papi schon zurücktreten würde."
So weit ist es noch nicht. Der Vater sitzt fest auf seinem Stuhl. Seit 1983 ist Christoph Blocher Verwaltungsratspräsident und mit stetig anwachsendem Aktien- und Stimmrechtskapital der starke Mann der Ems-Gruppe, des grössten Arbeitgebers im Kanton Graubünden. Doch bei den Blochers stellt sich die Nachfolgefrage. Christoph Blocher sagt: "Ich bin jetzt 62 Jahre alt. Man muss sich fragen: Wer erbt und führt später? Gibt es Junge, die im Unternehmen nachkommen?"
Die gibt es. Die vier Nachkommen sitzen erstmals für die Öffentlichkeit gemeinsam mit den Eltern am grossen Sitzungstisch in Herrliberg. Im Januar werden sie gemeinsam den Entscheid gefällt haben, ob sie die Firma von der Börse nehmen und zum reinen Familienunternehmen oder diese kotiert belassen und im Gegenteil zur echten Publikumsgesellschaft machen wollen. Blochers prüfen derzeit alle Möglichkeiten.
Vordenker in dieser Sache ist Christoph Blochers Sohn, Markus (31). Der promovierte Chemiker hat sich im Oktober nach fast drei Jahren bei McKinsey vom Beraterberuf verabschiedet und in den Sold des Vaters begeben. In Ems geht er derzeit die verschiedenen Alternativen und deren Konsequenzen in der Theorie durch. Vorkämpferin ist indes die älteste Tochter, Magdalena (33). Die Marketingspezialistin ist seit zwei Jahren im eigenen Unternehmen tätig, seit vergangenem August als Vizepräsidentin des Verwaltungsrates. Die zwei Jüngsten, Miriam (27) und Rahel (26), sind ebenfalls unternehmerisch tätig - aber nicht in der Ems-Gruppe. Das kann noch werden.
Bei der Ems-Gruppe wird die Familie Blocher - welchen Weg die Firma auch gehen wird - an Bedeutung und Macht zulegen. Am Tisch in Herrliberg ist die Familiendiskussion eröffnet.
Frage an die junge Generation: Wann haben Sie zum ersten Mal an einen Eintritt ins Unternehmen des Vaters gedacht?
Magdalena Martullo-Blocher: Früher sagte ich immer, dass ich auf keinen Fall in das Unternehmen gehen wolle. Nie. Mein Vater hatte mich ein paar Mal gefragt. Aber ich sagte immer Nein. Irgendwann kam der Zeitpunkt, zu überlegen, was als Nächstes zu tun sei.
Warum taten Sie es dann doch?
Magdalena: I ch hatte nicht eine Erscheinung, die mir sagte: Jetzt musst du auf nach Ems. Aber ich realisierte, dass ich von ihm und seinen Erfahrungen profitieren kann. Ausserdem ist es eine interessante Herausforderung. Ich wollte international tätig sein. Als nächster beruflicher Schritt stand eine Tätigkeit als Geschäftsführerin an - ich wollte aber auch noch schwanger werden. Und ich wusste, dass dies nicht die optimale Kombination sein würde. Als Verantwortliche für spezielle Projekte liess sich dies eher vereinbaren.
Christoph Blocher: Ich sagte meiner Frau: Jetzt ist sie plötzlich bereit, ins Unternehmen zu kommen. Hättest du das gedacht?
Silvia Blocher: Ich hätte das nie geglaubt.
Markus Blocher: Für mich war das eine totale Überraschung.
Miriam Blocher: Sie hatte immer kategorisch abgelehnt.
Was wollen sie sicher nicht so machen, wie es Vater und Mutter gemacht haben?
Christoph: Bringt etwas. Los!
Magdalena: Feindbilder habe ich keine. Ich werde sicher nicht in der Politik tätig sein.
Politisch leben Sie nun einmal mit der Marke Blocher. Haben Sie Mühe damit?
Miriam: Wir sind alle politisch nicht aktiv.
Markus: Ich bin Auns-Mitglied.
Miriam: Okay. Wir sind alle aktive Stimmbürger und eher auf seiner Linie. Sicher nicht bei jeder Vorlage, aber oft.
Markus: Ich bin bewusst nicht Parteimitglied, aber ein Stammwähler. Ich finde die SVP gut. Grosswetterpolitisch bin ich auf derselben Linie.
Magdalena: Ich bin auch derselben Meinung - ausser bei den Frauenfragen, da sind wir jeweils ein wenig aneinander geraten. Die Frau gehöre an den Herd, war am Familientisch eher seine Parole. Aber er propagiert das nicht mehr, seit ich im Unternehmen bin.
Christoph: (Lacht) Ich wollte euch provozieren. Das zwingt zum Nachdenken.
Miriam: Gewisse Grundeinstellungen bekommt man von zu Hause mit. Ausleben wird man sie dann individuell. Unternehmerisches Denken haben wir sicher alle im Blut - aufgesogen in der Kindheit.
Gerade Sie sind nicht in der Ems-Gruppe tätig. Wie leben Sie das unternehmerische Denken aus?
Miriam: Im Job denke ich gesamtheitlicher als andere in meinem Alter. Ausserdem ist es nicht normal, dass ich in meinem Alter eine derartige Position habe und haben will. Ich führe dreissig Mitarbeiterinnen und Mitarbeiter. Für mich wäre es keine Herausforderung, am Morgen um acht ins Labor zu kommen, danach dort meine Versuche zu machen und um fünf Uhr abends wieder nach Hause zu gehen.
Christoph: Sie ist gestern bis zehn Uhr abends in ihrem Unternehmen gewesen, weil es nötig war, und war heute morgen um fünf Uhr bereits wieder dort. Das kann nur jemand, der weiss, dass diese Art des Arbeitens zu einer leitenden Funktion gehört. Der dies vielleicht als Kind bereits mitbekommen hat.
Miriam: Für mich ist das selbstverständlich, obwohl ich es auch nicht immer gerne mache. Aus den Reaktionen anderer merke ich manchmal, dass es nicht für alle selbstverständlich wäre.
Ferienjobs im Unternehmen
Welches waren Ihre ersten Kontakte zur Firma und zum Unternehmertum?
Miriam: Früher nahmen wir an den Tagen der offenen Tür teil. Ausserdem gingen Rahel und ich oft in der Silvesternacht mit den Eltern in die Ems-Chemie. Unser Vater wünschte in der Fabrik, wo das ganze Jahr 24 Stunden im Tag gearbeitet wird, allen, die in dieser Nacht arbeiten mussten, ein gutes neues Jahr.
Christoph: Ich habe stets die Kinder in das Unternehmen einbezogen. Auch geistig. Am Familientisch haben wir viel über das Unternehmen geredet. Und da ich wenig Zeit hatte und nie freinehmen konnte, begleitete mich die Familie jeweils während der grossen Geschäftsreisen.
Magdalena: Die Auslandgesellschaften kennen wir fast besser als die schweizerischen.
Christoph: Für mich waren es Geschäftsreisen, für die Familie hätte es Vergnügen sein sollen …
Silvia: … was es längst nicht immer war.
Markus: Für mich war es eine gute Erfahrung.
Christoph: Dann lade ich jährlich die Kinder und meine Frau zu je zwei Tagen Führungsseminar in die Ems-Chemie ein. Ich möchte, dass die ganze Familie einen Bezug zur Firma hat.
Miriam: Diese Tagungen sind in erster Linie für die Kaderleute der Firma gedacht. Wir können mithören, wenn wir wollen.
Markus: Jeder mit einem Vater, der in einer derartigen Position tätig ist, wird automatisch ein Stück weit vom Unternehmen tangiert. Wir haben das nicht künstlich gepflegt. Es hat sich einfach so ergeben.
Magdalena: Es war nicht so, dass wir stets in der Firma ein und aus gegangen wären. Wir suchten das nicht. Und trotzdem: Meine Schwester und ich arbeiteten während des Studiums in den Auslandgesellschaften der Ems.
Christoph: Und er (zeigt auf Markus) war einige Monate als Schichtarbeiter in Ems tätig.
Rahel: Ich war in Spanien und in Frankreich als Aushilfssekretärin tätig.
Miriam: Ich hatte einmal ein Ferienjob als seine Sekretärin. Das war nur ganz kurz.
Christoph: Schade, sie wollte einfach nicht bleiben.
Miriam: Als deine Sekretärin?
Silvia: Das wollte sie auf keinen Fall.
Rahel, Sie sind die Jüngste und haben Anfang Dezember nach dem Abschluss Ihres Studiums bei der Clariant zu arbeiten begonnen. Warum sind Sie nicht direkt in die Ems-Chemie gegangen?
Rahel: Ich wollte nie im Unternehmen meines Vaters starten. Dort wäre ich doch nur die Tocher des Chefs. Für eine erste Stelle wäre das sicher eine schlechte Voraussetzung.
Schliessen Sie es aus, einmal in der Firma Ihres Vaters zu arbeiten?
Rahel: Ich stehe am Anfang meiner beruflichen Karriere. Ich plane nicht, wie lange ich wo sein werde. Und ich habe nicht vor, im nächsten Monat schon wieder zu kündigen.
Christoph: Du hast ja die Probezeit noch nicht einmal überstanden (lacht).
Könnten Sie sich vorstellen, in einer Firma der Ems zu arbeiten, Miriam?
Miriam: Ich bin in einer ganz anderen Branche tätig. Aber auch grundsätzlich wäre es für mich nicht in Frage gekommen. Gerade nach dem Studium hätte mich mein Vater auch nicht unbedingt haben wollen, nehme ich an.
Christoph: Ich habe es richtig gefunden, dass alle zusammen ausserhalb der Firma Tätigkeiten annehmen und sich dort bewähren. Sie wollten nicht, und ich wollte auch nicht, dass sie in Ems beginnen.
Alles auf eine Karte gesetzt
1983 hat ihr Vater das Unternehmen übernommen. Haben Sie dies als Kinder bereits mitgekriegt?
Markus: Ich kann mich gut daran erinnern. Damals war in der Familie ein Spannungsfeld. Als Kind merkte ich, dass eine schwere Entscheidung anstand. Ob er sich verschulden und ins Unternehmen einsteigen und dieses retten sollte - oder nicht. Als Kind merkte ich genau, dass bei uns alles auf dem Spiel stand.
Miriam: Wir waren immer ein bisschen Zuschauer. Für ihn war das aber mehr. Eine Lebensaufgabe. Dies ist es auch heute noch.
Markus: Ich sah seinen Einsatz. Seinen Risikowillen (blickt zum Vater). Er sah das Problem und sagte: "Ich muss das einfach tun."
Silvia: Er kaufte das Unternehmen nicht einfach, weil er es unbedingt haben wollte. Er musste, weil er es retten wollte und nur so retten konnte. Er musste es wegen der Mitarbeiter und aus Verantwortung dem Unternehmen gegenüber. Das glaubt heute leider kein Mensch mehr. Das erzeugte in jener Zeit das Spannungsfeld, das du erwähnt hast, Markus.
Magdalena: Unsere Mutter sagte. "Aber du! Du investierst alles, was wir haben. Unser Haus. Du hast vier Kinder." Wir hatten nachher einfach kein Geld mehr. Wir wohnten zwar in einem Haus, aber das gehörte der Bank. Mein Vater kam dann nach Hause und sagte: "Huh, jetzt habe ich der Bank wieder etwas zurückzahlen können." Es war schwierig.
Was war schwierig?
Magdalena: Wir hatten zwar ein Unternehmen, aber das war am Boden. All das Vermögen steckte da drin. Und wir - mein Bruder und ich - konnten nie sagen: "Wir sind jetzt super, wir sind reich, wir sind jetzt Unternehmerkinder." Wir waren noch ärmer als die anderen, die mit uns in die Schule gingen.
Markus: Wir sind bescheiden aufgewachsen. Wenn alle ein Velo hatten, hatten wir keines. Und wenn man es brauchte, um in die Schule zu fahren, dann gab es zwar ein Velo, aber als Geschenk zu Weihnachten. Alle hatten Sackgeld, wir hatten keines. Als es dann welches gab, reichte es für ein Maisbrötli einmal in der Woche.
Magdalena: Wir trugen Kleider von Freunden und der älteren Geschwister.
Markus: Ich musste mit anderen Dingen bestehen, nicht mit materiellen Dingen
Christoph: Auch später, als es finanziell gut ging, wollten wir die Kinder nicht verwöhnen. Für uns war das ein Erziehungsprinzip. Mit dem Notwendigsten leben lernen. Das Geld wird nicht für Dummheiten gebraucht. Alle unsere Kinder besuchten eine normale Volksschule.
Markus: Hunger mussten wir nie haben.
Rahel: Nein. Man konnte aber auch keine grossen Sprünge machen.
Christoph: Das ist ein Lebensprinzip. Junge Menschen muss man zur Selbstverantwortung erziehen, das heisst: sich auf das Notwendigste beschränken, wenn man wenig hat. Das gibt auch das Gefühl der Normalität im Leben. Ein Unternehmer weiss nie, ob er alles verliert.
Die Erziehungsfrage
Wer war das strenge Element in der Erziehung: Mutter oder Vater?
Rahel: Beim Vater hiess es immer: "Da musst du s Mami fragen."
Magdalena: Bei extremen Situationen konnte man mit ihm diskutieren. Mit ihr konnte man streiten. Mit ihm habe ich immer konstruktive Lösungen gefunden. Er konnte zuhören. Die Lösungen nahmen die Bedürfnisse beider Seiten auf.
Christoph: Für mich war es natürlich einfacher, eine weichere Linie zu fahren.
Silvia: Weicher war er nicht. Aber er war viel weg. Ich musste selber schauen, wie ich mit diesen vier lebhaften Kindern zurechtkam.
Christoph: Sie war immer mit den Kindern. Das war für sie schwierig. Wenn ich nach Hause kam, dann stand nicht gleich Erziehung im Mittelpunkt, sondern das Wiedersehen - und ich konnte meist etwas grosszügiger sein. Ich hatte die Erziehung aber nicht einfach abgegeben. Ich nahm stark daran teil.
Silvia: (Lacht) Stimmt! Wir versuchten immer, dem anderen nicht in den Rücken zu fallen. Denn das ist relativ schnell passiert.
Christoph: Sie rief während der Pubertät der Kinder schon einmal ins Büro an und sagte: "Jetzt ist einfach fertig, so geht das nicht mehr mit den Kindern. Die sind derart frech."
Silvia: Dann sagte ich: Du musst sofort kommen.
Christoph: Und ich ging nach Hause nach dem Rechten schauen. Dann war die Autorität wiederhergestellt. Ich tröstete in solchen Momenten meine Frau, dass sie froh sein solle, dass die Kinder mit der Mutter so saufrech seien. Die Kinder lebten ihre Pubertät aus. So konnten sie sich ablösen.
Und Sie, Frau Blocher, sagten: Ja, ja, du hast so Recht, Schatz.
Silvia: (Lacht) Ich habe mich aufgeregt. (Blickt zu Christoph Blocher) Du musstest das nicht jeden Tag hautnah miterleben.
Christoph: Ich habe zehn Geschwister. Darunter hat es einige, die haben die Pubertät nicht ausgelebt. Sie erleben sie noch mit sechzig. Ich sagte meiner Frau immer: Was jetzt rausgeht, ist draussen.
Die Tochter des Chefs
Frau Martullo, sind Sie in Ems jetzt nicht zuerst einmal die Tochter des Chefs, genau so, wie es Ihre Schwester Rahel für sich nie hat erleben wollen?
Magdalena: Das werde ich ausserhalb der Firma sehr viel gefragt. Dem liegt aber ein negativer Gedanke zu Grunde. Dass nämlich die Mitarbeiter einen solchen Wechsel schlecht aufnähmen und sagten, dass nun die Tochter des Chef komme, die keine anderen Qualitäten als die Abstammung vorzuweisen habe. Bei Ems war es aber ganz anders. Die Leute haben mich sehr positiv aufgenommen. Sie schätzen die Kontinuität. Die junge Generation steigt ein und verkörpert diese Fortsetzung. Und vielleicht dachten einige, dass es nun für sie mit mir ein wenig einfacher würde. Aber das ist nicht so (alle lachen).
Was verstehen Sie unter "einfacher"?
Magdalena: Dass die Leute denken: Schau, jetzt kommt jemand Junger. Die können wir noch ein bisschen formen. Inzwischen wissen alle, dass mein Stil nicht bequemer ist als derjenige des Vaters. Misstrauen oder Zweifel habe ich noch nie gespürt. Ich habe auch nie mein Hirn zermartert mit dem Gedanken, was die Leute darüber denken, dass ich die Tochter von Christoph Blocher bin. Man kümmert sich um die Sache und macht seine Arbeit.
Markus: Im Unternehmen gibt es zwei Aspekte: Als Tochter oder Sohn des Vaters im Geschäft muss man eher mehr bieten und in der Sache mehr überzeugen. Man wird an den Leistungen gemessen. Auf der anderen Seite kommt man leichter an gewisse Informationen heran - auch von anderen Leuten, weil diese die Beziehung zum Vater stets vor Augen haben.
Christoph: Ich bin mit meinen eigenen Kindern eher strenger als mit Dritten. Ich verlange mehr. Sie haben eine Vorbildfunktion. Wir haben bei Ems einen sehr offenen Führungsstil. Wir pflegen die Polarisierung in den Diskussionen. Dabei spielt es keine Rolle, wer woher kommt. Das Hierarchiedenken ist nicht so ausgeprägt, dass das Wort der Tochter einfach immer mehr Gewicht hätte als jenes von anderen Leuten. Magdalena war zwei Wochen da und musste gleich voll ran. In einem Unternehmensbereich lief es nicht rund - sie bekam den Auftrag, diesen Bereich zu leiten und ihn in Ordnung zu bringen, obwohl sie schwanger war. Ich sagte ihr: Bis das Kind kommt, musst du im Betrieb einen Chef gefunden haben. Sie schaffte das, und für sie war das eine sehr gute Herausforderung.
Magdalena: Das hat mir sehr geholfen. In der Firma sahen alle, dass ich auch selber etwas leisten muss.
Hat die Mutter in der Frage der Nachfolgeregelung mitdiskutiert?
Silvia: Nein. Ich schaue zu. So wie heute. Aber immerhin ging es um eines der eigenen Kinder.
Magdalena: Mein Vater wusste als mein Chef von meiner Schwangerschaft, bevor es meine Mutter erfuhr.
Silvia: Das werde ich euch nie vergessen (lacht).
Christoph: Sie musste es mir sagen wegen der Dispositionen im Unternehmen. Ich schwieg, weil es meine Tochter so wollte.
Magdalena: Es war ja noch in einem frühen Stadium.
Silvia: Das vergesse ich euch nie (lacht).
Markus: Auch bei uns war es so. Wir - mein Vater und ich - hatten in diesem Herbst kurzfristig entschieden, dass ich ins Unternehmen eintreten würde.
Silvia: Ja, genau, davon habe ich auch nichts gewusst.
Markus: Meine Mutter erfuhr es erst, als es bereits entschieden war.
Silvia: (Lacht) Ihr macht, was ihr wollt.
Nie Wirtschaft studieren!
Haben Sie die Karrieren Ihrer Kinder geplant?
Christoph: Nein. Sicherlich nicht. Mir schien aber immer wichtig, dass alle Kinder einen guten Leistungsausweis mitbringen würden. Gegen meinen Willen haben alle direkt ein Studium abgeschlossen. Ich wäre für eine Berufsausbildung - mindestens als Erstausbildung - gewesen.
Magdalena: Als ich zu Hause ankündigte, dass ich Wirtschaft studieren würde, sagte mein Vater: "Wirtschaft musst du gar nie studieren. Das kannst du alles in der Praxis erlernen. Studiere etwas anderes!"
Miriam: Ich hatte mich für Lebensmittelingenieur entschieden und brauchte seine Unterschrift, weil ich noch nicht volljährig war. Ich weiss noch genau, wie er reagierte, als ich das Dokument brachte, auf dem stand: Abteilung für Landwirtschaft. Mein Vater lachte laut und sagte: "Was! Du willst Bauer werden?"
Christoph: Jawohl. Da hatte ich einen Moment lang grosse Freude.
Weil Sie selber einst Bauer waren?
Christoph: Natürlich auch.
Magdalena: Wir sind alle genug eigenständige Leute, um selber zu entscheiden, was wir studieren oder machen wollen.
Christoph: Vielleicht seid ihr ja beeinflusst worden.
Magdalena: Er hat es nicht versucht.
Markus: Das hätte auch nicht zur Art der Erziehung gepasst. Man wusste nie genau, ob das, was man eben gemacht hatte, gut war oder nicht. Bei den Zeugnissen hiess es nie: super, hier bist du wirklich gut. Höchstens: Hier hättest du auch noch ein wenig zulegen können. Ich hatte keinen Richtwert, auf den ich mich fixierte, der das einzig Richtige dargestellt hätte. Ich musste ihn mir selber aussuchen.
Miriam: Natürlich existiert eine Art der Beeinflussung. Ich spreche von den vermittelten Werten, vom Lebensstil der Eltern. Diese Dinge spielen eine Rolle.
Silvia: Wir haben Unternehmerfamilien und deren Kinder erlebt und gesehen, wie es nicht gut gehen kann.
Christoph: Es waren Unternehmer, die ihre Kinder von der ersten Klasse an auf die Unternehmensführung ausrichteten. Das ist zunächst auch verständlich: Wenn der Vater etwas aufbaut oder gründet, dann ist der Wunsch stark, dass das Unternehmen durch die Familie weitergeführt werden soll. Doch die Kinder sind einem solchen Erwartungsdruck in der Regel nicht gewachsen und müssen zwangsläufig versagen. Ich hatte den Vorteil der börsenkotierten Firma. Ich wusste, die Firma gehört nicht mir allein. Nicht Abstammung ist das Wesentliche - die Fähigkeit und das Wollen zählen.
Silvia: Wir wollten unsere Kinder auch nicht darauf trimmen, unbedingt ans Gymnasium zu gehen. Sie sollten sich ihren Anlagen gemäss entwickeln können.
Magdalena: Vater sagte stets: "Niemand muss ins Unternehmen. Wenn keines der Kinder will, verkaufe ich das Unternehmen."
Das Führungsprinzip weitergeben
Arbeiten Sie und Ihr Vater heute oft zusammen, sodass Sie von ihm profitieren können?
Christoph: Nein. Ich habe Magdalena eine Aufgabe, einen umfassenden Auftrag gegeben. Das ist auch ein wichtiges Führungsprinzip, das ich habe.
Wie sehen diese Führungsprinzipien aus?
Christoph: Es sind einfache. Zum Beispiel: "Den Chef fragt nie etwas!" Entweder man handelt und trägt die Verantwortung, weil man die Kompetenzen hat. Oder - wenn diese fehlen - legt man dem Chef das Problem und die Lösungsvarianten vor und sagt ihm, wie man entscheiden soll. Wird diesem Prinzip vom CEO bis zum Pförtner konsequent nachgelebt, resultiert eine unglaubliche Führungskapazität. Das gilt aber überall, wo Verantwortung wahrgenommen werden muss. Das haben die Kinder mitgekriegt, weil ich das auch in der Familie so handhabte.
Wie haben Sie das vermittelt?
Christoph: Ich habe zum Beispiel meiner Frau gesagt, dass sie mich nicht fragen müsse, was es zum Essen geben solle. Entweder machst du es. Oder du bist nicht kompetent, und dann stellst du einen Antrag (lacht).
Silvia: (Lacht.)
Christoph: Hinter diesen Dingen steckt mehr als ein System. Es ist Ausdruck einer Lebenshaltung. Sie (er schaut zu Magdalena) behandelt jetzt die Marketingkonzepte und -pläne, und ich lasse sie machen. Sie trägt dafür die Verantwortung. Das heisst: Die Mitarbeiter haben eine grosse Freiheit, aber das Risiko ist auch gross, dass Fehler geschehen. Fehler muss jeder Einzelne selber ausbügeln. Die Kunst ist lediglich, dass ich aus der Ferne schaue, dass allfällige Fehler sich nicht zu
einer Katastrophe auswachsen.
Sie werden nicht drei Monate nach Ihrem Austritt, der ja irgendwann stattfinden wird, zurückkehren?
Christoph: Natürlich weiss man nie genau, wie man sich verhalten wird. Aber meine Meinung ist klar: Wenn man nicht dabei ist, sieht man erstens nicht jedes Fehlerchen und greift nicht dauernd ein. Zweitens hat der Betreffende gar keine andere Möglichkeit, als alleine durchzukommen. Entweder ist man dabei und trägt die Verantwortung. Oder eben nicht.
Magdalena: Er müsste nichts tun, seine Anwesenheit würde genügen, um als Meinung interpretiert zu werden.
Christoph: Man muss also rausgehen, wenn die Jungen übernehmen.
Magdalena: Deshalb halten wir unsere Aufgabengebiete schon heute klar getrennt. Ich übernehme die Ein- und Dreijahresstrategien und die Marketingkonzepte.
Christoph: Für mich ist das eine grosse Entlastung. Ich habe das seit 19 Jahren immer selbst gemacht.
Magdalena: Niemand im Unternehmen hätte gedacht, dass er das würde abgeben können.
Silvia: Stimmt. Die Leute sagen das alle.
Magdalena: Da haben sie ihn alle völlig falsch eingeschätzt. Sie haben gedacht, er könnte nicht mehr leben, wenn er diese Planungen nicht mehr würde machen können.
Silvia: Dabei ist er froh, dass er etwas weniger machen muss.
(Zwei Tage nach dem Gespräch, als nachgeschobene Frage) Christoph Blocher, ist Frau Martullo-Blocher nun Ihre Nachfolgerin?
Christoph Blocher: Diese Nachfolgeregelung ist nicht bestimmt. Sie hat im Falle einer breiten, echten Publikumsgesellschaft anders auszusehen als bei einer Going-private-Lösung. Frau Martullo ist heute Vizepräsidentin des Verwaltungsrates. Im Falle eines unerwarteten Wegfalls des Präsidenten des Verwaltungsrates müsste und könnte sie die Firma leiten.