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Économie

08.09.2008

Diritto delle società anonime: la società anonima diventa un self-service?

SERVIZIO STAMPA UDC, 8 settembre del 2008 Alla fine del 20° secolo l’economia ha subìto delle profonde trasformazioni: l’internazionalizzazione dei mercati, i mercati dei capitali globalizzati, l’informatizzazione e le nuove possibilità commerciali internazionali che ne derivano, hanno accresciuto non solo il dinamismo degli affari, ma anche i rischi. Il diritto svizzero delle società anonime non è più all’altezza di questo dinamismo. I punti principali della revisione Il nuovo diritto delle società anonime tiene perciò conto dei bisogni concernenti la flessibilità delle strutture del capitale, della modernizzazione dell’assemblea generale e del regime che definisce la presentazione dei conti. Inoltre, le norme sulla “Corporate governance” (equilibrio funzionale fra i diversi organi della società) sono stati rivisti. La trasparenza dei processi interni alla società, il controllo del management e i diritti degli azionisti sono stati chiarificati e migliorati. Protezione della proprietà È certamente incontestabile che il controllo del management non basta più oggi, in particolare nelle società pubbliche. Si può rispondere che non è compito del legislatore bensì degli azionisti risolvere questo problema. Questa risposta non è tuttavia sufficiente, nemmeno per degli anti-statalisti convinti. Nelle società pubbliche, soprattutto, la forte dispersione della proprietà e le insufficienti prescrizioni sulla trasparenza impediscono il controllo del management e la protezione della proprietà. La protezione della proprietà privata è un compito dello Stato. La garanzia della proprietà privata è indispensabile al buon funzionamento dell’economia. Ci si permetta di stabilire un parallelo con il comunismo per le società anonime quotate in borsa. Anche qui, la proprietà appartiene a molti, ossia a tutti. Ma ciò significa anche che finalmente nessuno ne è proprietario. Si forma allora una nomenklatura che gestisce la proprietà, ma che ne usa ed abusa senza rischi. Succede che, a causa della mancanza di norme salvaguardanti la proprietà, nelle società pubbliche il management della società può liberamente fissare le sue rimunerazioni. È così che certi dirigenti si sono offerti delle rimunerazioni esorbitanti, dei bonus su operazioni controproducenti e indennità di cui nessuno sapeva niente – e questo anche quando le prestazioni dei beneficiari erano insufficienti. In questo modo delle intere imprese sono state spinte sull’orlo abisso, al punto che i loro proprietari vi hanno perso il loro patrimonio e un sacco d’impieghi è stato soppresso. Questo problema non può essere risolto senza garantire agli azionisti dei diritti di sorveglianza e di controllo più ampi. Il nuovo diritto delle società anonime fissa delle regole chiare su questo oggetto, ma senza peraltro restringere il margine di manovra della società, tanto che questo testo costituisce anche un controprogetto credibile all’iniziativa popolare contro le rimunerazioni eccessive dei dirigenti d’impresa. Oggetto controverso: la Corporate Governance Sono innanzitutto le associazioni economiche a combattere la revisione della Corporate Governance. Nella fattispecie, queste associazioni non rappresentano tuttavia gli interessi dell’economia, bensì gli interessi personali dei manager. Ecco perché questi ambienti vogliono tornare alla vecchia regolamentazione. Bisogna impedirlo nell’interesse dell’economia. L’opposizione verte in particolare sull’obbligo di menzionare tutte le rimunerazioni nel rapporto d’attività delle società pubbliche. Questi stessi ambienti contestano anche la maggiore facilità accordata agli azionisti ad esercitare i loro diritti (per esempio l’apertura di inchieste speciali, la convocazione di un’assemblea generale, le trattande da mettere all’ordine del giorno). Autentica elezione dei membri del Consiglio d’amministrazione Non sorprende che le nuove disposizioni più combattute siano quelle concernenti le indennità dei membri del Consiglio d’amministrazione. Il progetto di legge dà all’assemblea generale il diritto di fissare negli statuti le norme concernenti il compenso dei membri del consiglio d’amministrazione, come pure i piani azionari o opzionari. Inoltre, il nuovo diritto prevede l’elezione individuale e annuale dei membri dei consigli d’amministrazione. Anche gli azionisti hanno la loro parola da dire sulle rimunerazioni e sui bonus, tenendo conto delle prestazioni dei beneficiari, e possono pure, in casi gravi, rifiutare un’elezione. I proprietari possono dunque influenzare le indennità dei membri dei CdA. Inoltre, il nuovo diritto delle società anonime impedisce ai membri di fissare mutualmente le proprie indennità (per esempio tramite partecipazioni incrociate). Per non falsare il diritto di voto degli azionisti, il diritto di voto per delega delle banche e degli organi di rappresentanza – che votano sempre per il consiglio d’amministrazione – è soppresso e la posizione dei rappresentanti indipendenti di azionisti è rafforzata. Le associazioni economiche – e purtroppo anche il PLR e il PPD – combattono queste disposizioni con motivazioni inconsistenti. Tuttavia osiamo sperare che il nuovo diritto delle società anonime, che difende gli interessi dell’economia e che salvaguarda l’impiego e la proprietà privata, sia approvato nella sua forma attuale e che questa riforma resista ai tentativi di piegarlo agli interessi dei grandi manager. Qualsiasi altro atteggiamento non sarebbe credibile. Articolo apparso nel settimanale "Weltwoche" del 4 settembre 2008. Quale ministro della giustizia, Christoph Blocher ha avuto un ruolo decisivo nell’elaborazione del nuovo diritto delle società anonime.

09.07.2008

Christoph Blocher zum Bankgeheimnis: Konsequent bleiben

Christoph Blocher zum Druck auf das Bankkundengeheimnis, zu der empfehlenswerten Taktik der Schweiz und den Trümpfen unserer Banken. Interview in der "Finanz + Wirtschaft" vom 9. Juli 2008 Interview: Peter Schuppli «Wäre wie die Feuerwehr abschaffen, weil es gerade nicht brennt» Die Grossbank UBS, ohnehin mit happigen Problemen konfrontiert, sieht sich in den USA zusätzlich wegen angeblicher Beihilfe zur Steuerhinterziehung, nach amerikanischer Diktion Steuerbetrug, unter Druck. Soll die Bank die Daten von US-Bankkunden herausrücken, um weiteren Schaden abzuwenden, damit aber das Bankkundengeheimnis verletzen? Ist dieses grundsätzlich gefährdet? Christoph Blocher, ehem. Bundesrat und einst SBG-Verwaltungsrat, nimmt Stellung. Herr Blocher, sehen Sie das Schweizer Bankgeheimnis angesichts des aus den USA stammenden Drucks, Kundendaten von bis zu 20 000 US-Bankkunden offenzulegen, akut gefährdet? Das Bankgeheimnis ist grundsätzlich immer gefährdet. Neben dem Bankgeheimnis stört sie auch die doppelte Strafbarkeitbedingung. Was heisst doppelte Strafbarkeit? Rechts- und Amtshilfe gibt es nur, wenn ein Verhalten für beide Staaten unter Strafe gestellt ist. Das ist insofern wichtig, als die Steuerhinterziehung in der Schweiz ein Vergehen ist und kein Verbrechen. Ich betrachte das Bankkundengeheimnis aber nicht als stärker gefährdet als früher. Es gibt Einzelfälle in den USA, die, so wird dort behauptet, passiert sind, weil gewisse Personen versagt haben. Haben Sie den Eindruck, der Bundesrat unternehme genug, um das Bankgeheimnis und damit den Finanzplatz Schweiz zu verteidigen? Es scheint, dass im vorliegenden Fall der Bundesrat überzeugt hinter dem Bankgeheimnis steht. Er hat die Banken darauf hingewiesen, dass die Bank sich strafbar macht, wenn sie das Bankkundengeheimnis verletzt. Der Bundesrat hat richtigerweise die Banken auf die Rechts- und Amtshilfe verwiesen. Wie soll sich die Schweizer Regierung gegenüber dem Druck aus den USA verhalten – Gesprächsbereitschaft signalisieren oder eine ‹harte Linie› einschlagen? Es braucht beides: Gesprächsbereitschaft signalisieren, gleichzeitig aber eine konsequente Linie einschlagen. Den Amerikanern ist einerseits klarzumachen, dass die Schweiz respektive die Schweizer Bevölkerung am Bankkundengeheimnis festhält und dass wir von diesen vom Volk grossmehrheitlich befürworteten Grundsätzen nicht abweichen können. Ebenso ist aber auch ausdrücklich festzuhalten, dass die Schweizer Banken – oder sonst jemand – keine Beihilfe zu Steuerbetrug leisten dürfen. Diese Botschaft muss immer wieder überbracht werden. Kann sich ein Kleinstaat wie die Schweiz überhaupt eine harte Linie erlauben? Es ist ein konsequenter Kurs. Ein Staat, auch ein Kleinstaat, der sich konsequent ans Recht hält, geniesst Respekt. Das waren auch meine Erfahrungen als Bundesrat in schwierigen Verhandlungen mit den USA. Können Sie das konkretisieren? Den USA ist die Staatsordnung der Schweiz, und wie diese funktioniert, eher fremd: die direkte Demokratie, der ausgeprägte Föderalismus, die Pulverisierung der Staatsmacht. Aber wenn man das erklärt, wird es verstanden. Gerade in den USA, wo auf Ebene der Verfassung eine grosse Verwandtschaft zur Schweiz besteht, wurde es sogar bewundernd zur Kenntnis genommen. Dazu kommt: Auch grosse Staaten verderben es sich nicht gerne mit kleinen Staaten, die gesinnungsmässig auf ihrer Seite stehen. Rechnen Sie damit, dass auch die EU den Druck auf das Bankgeheimnis und den Finanzplatz Schweiz erhöhen wird? Wurde das Bankkundengeheimnis nicht mit dem Schengen-Abkommen gesichert? Der Druck wird erhöht, um den Schweizer Bankplatz zu schwächen. Das ist ein Dauerzustand. Mit der im Schengen-Abkommen getroffenen Zinsbesteuerung wollte man die Steuerflucht eindämmen, ohne Kundendaten preisgeben zu müssen. Doch es war klar, dass das Ausland den Kampf mit anderen Mitteln fortsetzen würde. Wie soll die Schweiz diesem Druck aus dem Ausland begegnen? Leider ist die Schweiz gegenüber der EU sehr willfährig. Der von der EU verlangten Erweiterung des Personenfreizügigkeitsabkommens auf Bulgarien und Rumänien hätte die Schweiz unbedingt Gegenforderungen stellen müssen in Bezug auf die Achtung des eigenen Steuerregimes. Diese Chance ist verpasst worden. Wie wichtig ist das Bankkundengeheimnis grundsätzlich noch für die Schweiz und die Bankbranche? Es ist von grosser Bedeutung und eine Besonderheit. Dem Kunden wird klargemacht, dass man die Rechtsordnung respektiert und die Privatsphäre achtet. Welchen Einfluss auf den Finanzplatz Schweiz und damit auf unsere Volkswirtschaft insgesamt hätte eine weitere Aufweichung des Bankkundengeheimnisses? Der Einfluss wäre nicht zu unterschätzen. Das Bankkundengeheimnis kann und darf aber nicht die einzige Stärke unseres Finanzplatzes sein, und das ist es auch nicht. Zuverlässigkeit und Seriosität des Bankgeschäfts sind mindestens ebenso wichtige Aspekte. Es ist vielleicht typisch, dass unsere Banken die grossen Verluste ausgerechnet in den USA erlitten haben. Die Mentalität in den USA ist eine andere. Sehen Sie Auswirkungen auf andere Wirtschaftssektoren für den Fall, dass das Bankkundengeheimnis fällt? Das wäre für die Schweiz sicher eine Schwächung, weil Werk- und Finanzplatz zusammenhängen. Aber dank den anderen Stärken unserer Banken – Seriosität, Professionalität, Zuverlässigkeit – sähe ich für andere Bereiche keine Katastrophe. Das Bankkundengeheimnis hat einen historischen Hintergrund. Ist er obsolet geworden? Das Bankgeheimnis geht zurück auf die Judenverfolgung im Dritten Reich. Jemanden zu schützen bei Geldanlagen – solche Situationen können jederzeit wieder auftreten. Etwas abzuschaffen, weil es im jetzigen Zeitpunkt nicht notwendig ist, erscheint mir der falsche Ansatz. Das ist wie die Feuerwehr abschaffen, weil es im Moment nicht brennt. Ist es Zufall, dass der Druck auf das Bankgeheimnis ausgerechnet in einem Zeitpunkt steigt, in dem die UBS grosse Probleme mit sich bekundet? Druck auf das Bankgeheimnis wird immer wieder ausgeübt, und zwar immer dann, wenn jemand im Bankbereich versagt. Zudem erachte ich die Kronzeugenregelung in den USA als ein sehr problematisches Instrument. Des Weiteren ist festzustellen, dass die Medien dieser Geschichte nie diese Bedeutung beimessen würden, wenn die UBS glänzend dastünde. In einer Situation der Schwäche wird aber jeder Missstand aufgebauscht. Ich gehe davon aus, dass der Fall UBS in den USA rechtlich und nicht politisch erledigt wird. Welche Zukunft räumen Sie dem Schweizer Bankgeheimnis ein? Wenn die Schweiz will, werden wir das Bankkundengeheimnis halten können. Die Frage ist nur, will die Schweiz, und sind unsere Politiker dem Druck gewachsen. Sind es die Bürgerlichen? Es gibt auch bürgerliche Politiker, die nichts gegen eine Aufweichung des Bankkundengeheimnisses haben. Da weder von linker noch von grüner Seite Unterstützung für das Bankkundengeheimnis zu erwarten ist, müssten die Bürgerlichen zusammenstehen. Was wäre im Falle einer weiteren Aufweichung des Bankgeheimnisses zu tun, um einen spürbaren Abfluss von Kundengeldern zu verhindern? In erster Linie müsste die Leistung gegenüber derjenigen der ausländischen Konkurrenz wesentlich besser sein. Zudem darf die Regulierungsdichte unter keinen Umständen zunehmen, wie das gewisse Kreise fordern. Denn wenn unsere Banken stärker reguliert würden als beispielsweise die englischen Institute, würde die Konkurrenzfähigkeit beeinträchtigt. Aber die Banken selbst haben ihre Anreizsysteme für Bonuszahlungen zu ändern, damit sie nicht in solche Risiken laufen. Wo sehen Sie die Chancen des Finanzplatzes Schweiz? Wenn die Wettbewerbsfähigkeit unserer Banken nicht durch zusätzliche Regulierungen geschmälert wird, hat unser Finanzplatz grosse Chancen. Erstens, weil die Schweiz ein Kleinstaat ist, und zweitens, weil die Schweiz nicht der EU angehört. Aber die Schweizer Banken, vor allem sie, müssen die traditionellen, soliden Eigenschaften pflegen und dürfen sie auf keinen Fall preisgeben.

05.07.2008

Combat pour les droits du peuple: les pratiques UE n’ont pas leur place en Suisse

Assemblée des délégués de l'UDC Suisse du 5 juillet 2008 à Brigue Le discours prononcé oralement fait foi Le «paquet» Ce que les partis gouvernementaux se sont permis durant la dernière session d'été est sans doute unique dans les annales du Parlement: ne reculant pas devant la sournoiserie la plus basse, ils ont lié deux projets de lois totalement distincts pour empêcher le peuple de se prononcer séparément sur chacun d'eux. L'un de ces textes concerne l'extension de la libre circulation des personnes à la Roumanie et la Bulgarie et l'autre la poursuite de la libre circulation actuelle avec les anciens Etats membres de l'UE. La majorité du Parlement a décidé de réunir ces deux projets pour en faire un "paquet", fort répugnant en l'occurrence, dans le but d'empêcher l'expression fidèle de la volonté populaire. Quelle est la conséquence de ce "paquet"? Le citoyen, qui veut dire NON à un projet mais OUI à l'autre, ne peut plus voter. S'il dit OUI, il approuve aussi le projet qu'il veut rejeter, s'il dit NON, il s'oppose également au texte qu'il souhaite accepter. Mesdames et Messieurs, il est intolérable de confronter le souverain à une question qui viole les règles de la Constitution fédérale! Or, celui qui lance un référendum contre ce projet, prête main à cette tromperie; il prend au sérieux cette fausse question et contribue en fait à ce que les citoyennes et les citoyens doivent trancher une question dont la formulation est indigne de la démocratie directe. Pourquoi cette lamentable mise en scène? Les partis gouvernementaux le savent bien: l'extension de la libre circulation des personnes à la Roumanie et à la Bulgarie telle qu'elle est présentée et à l'heure actuelle suscite beaucoup de scepticisme et risque donc d'être rejetée par le peuple. L'UDC a déjà clairement pris position: l'accord portant sur l'extension de la libre circulation des personnes à la Roumanie et à la Bulgarie doit être combattu. Le Parlement tente donc d'obtenir par des méthodes trompeuses un OUI à l'extension de la libre circulation des personnes à la Roumanie et à la Bulgarie. Et plus tard, on attribuera la responsabilité de cette décision au peuple. On les entend déjà, ces hypocrites: "C'était la volonté du peuple, le peuple a dit OUI" et ils tairont bien sûr soigneusement le fait que cette votation n'était qu'une tricherie. Et ces mêmes milieux pourront annoncer fièrement à Bruxelles: "Vous le voyez: la Suisse est le seul pays d'Europe où le peuple a pu se prononcer sur l'extension de la libre circulation des personnes, et ce peuple a dit oui." Et, bien évidemment, on omettra de préciser à cette occasion qu'en réalité le peuple suisse n'a pas pu participer à une votation libre. Mesdames et Messieurs, vous le sentez déjà: le but de ces manigances est de pousser la Suisse à adopter les pratiques antidémocratiques de l'UE. Avez-vous suivi la votation populaire en Irlande et les réactions des autres Etats de l'UE? Il y a là de quoi faire dresser les cheveux sur la tête d'un vrai démocrate. Et on voudrait que ces méthodes soient étendues à la Suisse? Fossoyeurs et faux-monnayeurs à l'œuvre Vous souvenez-vous des innombrables promesses que le gouvernement et le Parlement ont faites quand il s'agissait de faire accepter au peuple suisse la libre circulation des personnes? Il est intéressant à ce propos de relire les explications de vote du Conseil fédéral de 1999 à propos du projet de libre circulation des personnes avec l'UE. Je cite (traduction de l'allemand): "…; dans la septième année suivant l'entrée en vigueur, l'Assemblée fédérale décide si l'accord de libre circulation des personnes doit être poursuivi. Le peuple pourra en décider une fois de plus si un référendum est lancé." Et le Conseil fédéral poursuit: "Le Parlement décidera de plus si l'accord de libre circulation des personnes s'applique aussi aux Etats qui adhèrent ultérieurement à l'UE. Sur ce point aussi le peuple peut décider en cas de référendum." Cette promesse a été clairement rompue durant la session de juin 2008 lorsque le Parlement a décidé de réunir les deux projets en un seul "paquet". Le peuple suisse ne peut plus décider de l'extension de la libre circulation des personnes à la Roumanie et à la Bulgarie! Il est tout aussi intéressant de relire les explications de vote du Conseil fédéral concernant l'extension de la libre circulation des personnes avec l'UE en 2005. Je cite (traduction de l'allemand): "En 2009, le Parlement décidera si l'accord de libre circulation des personnes doit être poursuivi; en cas de référendum, les citoyens auront une fois de plus le dernier mot." Un peu plus loin on peut lire ce qui suit: "Une extension de la libre circulation des personnes à de futurs Etats membres de l'UE doit également être approuvée par le Parlement et elle est soumise au référendum facultatif." Cette promesse faite par le Conseil fédéral en 2005 a été rompue comme les autres. Les citoyennes et les citoyens ne pourront pas voter sur l'extension de la libre circulation des personnes à la Roumanie et à la Bulgarie. Cette politique est indigne de la Suisse. Que doit faire l'UDC? Mesdames et Messieurs, en analysant cette affaire dans tous ses détails et en prenant en considération les conséquences de cette violation d'une règle constitutionnelle et légale élémentaire, on doit bien se rendre à l'évidence: un référendum ne serait qu'un faux-semblant. Voilà pourquoi un parti démocratique comme l'UDC doit y renoncer! Un faux semblant de référendum et un faux-semblant de votation populaire sont indignes de la démocratie suisse. L'UDC ne doit pas participer à ce jeu. Nous ne jouons pas avec des dés pipés. Nous regrettons qu'il ne soit pas possible de lancer un référendum et que le Parlement prive le peuple de la possibilité de voter sur deux importants objets concernant l'UE. L'unique manière de contrer réellement pareils agissements est de voter à l'avenir pour l'Union démocratique du centre. L'UDC est le seul part qui défend sans concession la démocratie directe et qui combat les combines antidémocratiques visant à tromper le souverain. Voilà pourquoi, Mesdames et Messieurs, je vous propose de renoncer à lancer un faux-semblant de référendum et aussi à soutenir un faux-semblant de référendum. Laissons les partis gouvernementaux porter la responsabilité de leurs agissements quasi-dictatoriaux concernant la libre circulation des personnes avec la Bulgarie et la Roumanie. Ils entreront dans l'histoire comme les fossoyeurs de la démocratie directe.

14.06.2008

Wollen nicht auf Landwirtschaft verzichten

Die Bauern bräuchten mehr Freiheit als Unternehmer, sagt Christoph Blocher. Das Problem sei die Abnehmerstruktur. Interview im "Schweizer Bauer" vom 14. Juni 2008 Interview: Simon Marti, Martin Messer «Schweizer Bauer»: Sie haben eine landwirtschaftliche Lehre gemacht. Warum sind Sie nicht Bauer geworden? Christoph Blocher: Mein Vater war Pfarrer, und ich hatte keinen Hof. Wenn ich einen Hof gehabt hätte, wär ich Bauer geblieben. Möchten Sie unter den heutigen Bedingungen Bauer sein? Ja. Ich glaube, man kann auch heute etwas erreichen. Die Rahmenbedingungen stimmen aber nicht. Wenn Sie Landwirtschaftsminister wären: Was würden Sie anders machen? Ich würde die ganze Sache entbürokratisieren und den Bauern mehr Bewegungsfreiheit als Unternehmer zugestehen. Beispiel Milchmarkt: Dort  zieht sich der Staat zurück – Ist das der Schritt in die richtige Richtung? Das wäre es. Aber in der Regulierung der Produktion zieht er sich nicht zurück. Anderseits ist die Abnehmerstruktur zu eng: hier stehen die Bauern quasi einem Kartell gegenüber. Wir haben nun gerade einen Milchstreik erlebt. Halten Sie das für ein gutes Mittel? Der Milchstreik ist ein typisches Zeichen für diese Kartellstruktur. Wenn die Bauern mehr Konkurrenz bei den Abnehmern hätten, bräuchte es keinen Milchstreik. Die schmale Struktur zieht sich bis zum Detailhandel (Coop und Migros) durch. Was muss man tun? Die Bauern müssen eigene Vermarktungsstrukturen – und so mehr Wettbewerb – schaffen. Die Napfmilch AG ist fast gescheitert, Baer wurde von einem französischen Konzern übernommen – ist es nicht zu schwierig, die Abnehmerstruktur zu verändern? Natürlich, weil die Grossen inzwischen eben so stark sind. Bei Baer haben aber ja nur die Eigentumsverhältnisse geändert, der Neue wird die Milch wohl auch weiterhin abnehmen. Denken Sie, dass die Wettbewerbskommission mehr eingreifen müsste? Ich habe nichts dagegen, wenn die Weko das untersucht. Aber sie tut nichts. Die Schweiz ist zu klein. In Amerika würde so eine Marktmacht aufgeteilt. Würde ein Agrarfreihandel mit der EU bei den Verarbeitern mehr Wettbewerb schaffen? Im Ausland vielleicht. Aber das Problem Landwirtschaft würde dies verschärfen. Die Konsumentenpreise würden keinesfalls um 25 Prozent sinken . Das ist eine Fehlrechnung. Wenn zum Beispiel Stocki 25 Prozent billiger wird, wäre die Verbilligung grösser als der Kostenanteil für den Rohstoff. Da müsste der Bauer ja noch etwas draufzahlen, damit die Kartoffeln abgenommen werden. Zudem ist die Landwirtschaft nicht vollständig dem freien Markt unterstellt. In der Bundesverfassung sind ihr Ziele vorgegeben – sichere Versorgung, Erhalt der natürlichen Lebensgrundlagen, Pflege der Kulturlandschaft, dezentrale Besiedelung – und hinter diesen Zielen stehe ich voll. Wenn sie die Landwirtschaft voll der freien Marktwirtschaft aussetzen, dann werden diese Ziele nicht mehr erreicht. Schon gar nicht gegen die grossen Strukturen in England, Holland, oder auch Deutschland. Von den Billiglohnländern nicht zu sprechen! Auch nicht mit Spezialitäten? Mit Spezialitäten kann sie es vielleicht, aber nur wenige Flächen und Orte kommen dafür in Frage. Vom unternehmerischen Standpunkt her hätte die Schweiz wohl den grössten Erfolg, wenn sie sich voll auf Milch- und Viehwirtschaft konzentrieren würde, auch die Forschung und Entwicklung der Produkte müsste sich darauf konzentrieren, und hochwertige Spezialitäten entwickeln.In der Milchproduktion sind wir auch am konkurrenzfähigsten. Also könnte man den Milchbereich sektoriell öffnen, um dem Druck eines WTO-Abschlusses zu begegnen? Wir sind nicht dagegen, dass wir in gewissen Sektoren öffnen. Aber es ist nicht meine Sache zu sagen, in welchem Sektor das sinnvoll wäre. Das müsste der Bundesrat prüfen und vorschlagen. Es ist Sache des Bundesrates herauszufinden, wo sektorielle Abkommen sinnvoll wären. Vergeben Sie sich damit nicht eine Chance, wenn Sie auf einen guten Gegenvorschlag verzichten? Eine Partei oder ein einzelner Politiker hat diese Mittel und Unterlagen nicht, um dies darzulegen. Dafür hat man die Regierung und Verwaltung. Was wollen Sie denn tun, wenn es in der Doha-Runde der WTO zu einem Abschluss kommt? Sie können nur etwas dem Freihandel unterstellen, auf das sie auch verzichten können. Bei Massentextilien war das so – jetzt stellen wir keine mehr her. Aber auf die Landwirtschaft wollen wir ja nicht verzichten. Gibt es ein Abkommen in der WTO, mit grossen Zugeständnissen, erhält der Bauer massiv weniger für seine Produkte. Dann müssten sie entweder die Abgeltungen anderswie erhöhen, oder die Landwirtschaft - und damit alle Zielsetzungen der Agrarpolitik - werden preisgegeben. Gerade die SVP wehrt sich doch jeweils stark gegen höhere Staatsausgaben? Wenn die Doha-Runde dem Export so wahnsinnig viel bringen sollte, dann hätte man das Geld. Sie haben gesagt, Sie stehen zu den Aufträgen in der Verfassung. Diese werden aber doch durch die Auflagen garantiert, die Sie weghaben wollen? Ich bin nicht gegen Umwelt- und Tierschutz, aber die detaillierten Bestimmungen gehen zu weit. Ein Bauer darf Ökowiesen erst Mitte Juni mähen, damit es eine schöne Blumenwiese gibt. Das hat nichts zu tun mit Landwirtschaft, das ist Parkpflege. Ich habe im Garten auch solche Wiesen. Aber ich habe nicht das Gefühl, ich sei ein Bauer. Sie sprechen oft von den zu hohen Kosten. Parallelimporte könnten hier eine Erleichterung bringen. Warum wehren Sie sich dagegen? Für patentgeschützte Güter ist der Schutz des geistigen Eigentums dringend. Für den Wissens-, Forschungs- und Werkplatz Schweiz ist das zentral. Der Preisüberwacher spricht von 20 bis 45 Prozent Kostenreduktion. Das sind Behauptungen und Versprechen, die nicht in Erfüllung gehen. Aber natürlich wird etwas billiger, wenn man Eigentum (auch geistiges) nimmt und verteilt. Wenn ich den Bauern das Privat-Eigentum (Haus und Hof) wegnehme und verteile, dann wird es für den Erwerber auch billiger. Nur führt dann das dazu, dass niemand mehr Eigentum schafft. Schutz vor geistigem und Sach-Eigentum ist ein Grundwert. Sie fordern eine produzierende Landwirtschaft. Die dazu nötige bewirtschaftbare Fläche wird immer mehr überbaut. Was soll man dagegen tun? Sie können nicht verhindern, dass die Menschen Häuser bauen. Man kann raumplanerisch etwas verbessern, am richtigen Ort einzonen, verdichtet bauen. Es gibt eine Initiative, die in den nächsten 20 Jahren kein Bauland mehr einzonen und so die Landwirtschaftsfläche erhalten will. Woher nimmt man denn das Land, um zu wohnen? Von der Waldfläche? Pro Sekunde wird 1m2 verbaut. Sie haben keine Angst, dass schleichend Boden verloren geht? Wenn es immer weniger Platz zum Produzieren gibt, und immer mehr Leute, die konsumieren, steigen die Preise. Das ist doch gut für die verbleibenden Bauern. Und der Bauer ist ja nicht der einzige, der Land braucht. Die Industrie braucht Land, zum Wohnen braucht es Land, Strassen und Eisenbahnen brauchen Land, und Sie können diese Entwicklung nicht aufhalten. Aber Sie wollen doch die Produktion sichern? Dazu braucht es den Boden. Man darf auch nicht so auf Statistiken vertrauen. Das sind Schreckgespenster. Ich habe in den 60er-Jahren gelernt, dass wir in Jahre 2000 in der Schweiz 10 Millionen Einwohner haben werden. Heute ist 2008, und wir haben 7,5 Millionen. Wie wollen Sie so die Lebensgrundlage für die kommenden Generationen sicherstellen? Im Extremfall wird die Schweiz eben zu einem Stadtstaat. Doch auch in diesem wird es Landwirtschaftsland geben, das es zu nutzen gilt! Aber: der Versorgungsgrad wird sinken. Der Selbstversorgungsgrad der Schweiz liegt heute bei unter 60 Prozent. Reicht das? Solange wir Nahrungsmittel zukaufen können, reichen 60 Prozent. In Notzeiten reicht es nicht. Wenn man intensivieren würde, könnte man die Produktion auf der gleichen Fläche wieder steigern. Die Schweiz hat dies in Notzeiten immer wieder getan. So die Schweiz im 2. Weltkrieg, als sie sogar Kartoffeln auf der Sechseläutenwiese in der Stadt Zürich anpflanzte. Die intensive Landwirtschaft hat aber auch Grenzen, zum Beispiel wenn Seen überdüngt werden? In den 60er Jahren hat man gesagt, 1980 könne man nicht mehr ohne Gasmaske herumlaufen. Meine Enkel baden heute im Zürichsee... Weil man etwas gemacht und vorgebeugt hat. Ja, eben. Es geht stets um das Normale. Wenn sie in normalem Rahmen intensiv Landwirtschaft betreiben, kippt kein See. Wenn sie die Nahrung brauchen, produzieren sie Kartoffeln an Stelle von Blumenwiesen. Sie sagten am Anfang, Sie wären gerne Bauer geworden. Heute könnten Sie sich einen Hof leisten... Als ich Ems gekauft habe, hatte ich zwei Bauernhöfe mit 200 Hektaren, aber keine Zeit und Fähigkeit mehr diese zu bewirtschaften. Ich musste ja das Unternehmen führen. Was haben Sie mit den Höfen gemacht? Ich konnte sie nicht verpachten. Das Pachtrecht ist so eng, dass sie nicht  wissen, ob sie das Land je wieder zurück bekommen, wenn sie es brauchen. Darum wird heute das Land rund um die Fabrik als Golfplatz und gleichzeitig als Reservezone genutzt. Wenn es gebraucht wird, kann man es so oder anders nutzen. Werden Sie jetzt noch Bauer? Nein das nicht mehr. Die Liebe zur Landwirtschaft ist noch da, aber das jugendliche Alter und die heutigen Fachkenntnisse fehlen.

11.06.2008

L’UDC n’est pas composée que de héros

OPPOSITION. Christoph Blocher se tient dans l'ombre. Mais il ne s'en cache pas: dans le parti, c'est toujours lui qui donne le ton. Interview dans «Le Temps» du 11 juin 2008 Interview: Ron Hochuli Christoph Blocher lance l'offensive. Le Zurichois l'admet, il reste le stratège en chef de son parti. Un stratège décidé à laver les échecs retentissants du 12 décembre et du 1er juin. Entretien. Le Temps: Vous avez insinué, le 12 décembre, que vous serez plus dangereux hors du gouvernement. Six mois plus tard, ce pronostic se révèle erroné... Christoph Blocher: Premièrement, j'ai dit que la beauté du système suisse était que l'on pouvait rester actif en politique hors du gouvernement et du parlement. Nuance! Deuxièmement, ne nous jugez pas à l'aune du 1er juin. Du point de vue électoral, dans les cantons d'Uri, Schwyz, Thurgovie, Saint-Gall et Nidwald, le parti n'a jamais eu autant de succès que ces six derniers mois. Au parlement, nous nous sommes imposés sur des sujets majeurs, contre la formation militaire à l'étranger, les importations parallèles et la hausse de l'aide aux pays en développement. Sur la libre circulation, nous faisons tout pour éviter un paquet. Nous travaillons! L'UDC a perdu le 1er juin sur un thème majeur pour elle. La faute à une mauvaise stratégie? Les partis d'opposition sont trop petits pour lancer des initiatives populaires, mais ce projet était né alors que nous étions encore au gouvernement. En outre, gardons à l'esprit que l'écrasante majorité des initiatives échouent, d'où qu'elles viennent. Cependant, je le concède, l'initiative a en partie raté sa cible. L'enjeu de la naturalisation démocratique n'était pas saisissable par tout le monde. Les Romands, par exemple, n'ont jamais connu un tel régime. Mais de telles défaites ne sont pas dramatiques. Vous n'étiez pas d'accord avec la stratégie, axée sur la criminalité... J'ai repris mon mandat de vice-président du parti le 1er mars, lorsque la campagne était déjà lancée. Et c'est vrai, sur les naturalisations, il y allait d'abord des droits populaires. La question était de savoir si nous voulions donner le pouvoir au peuple ou aux tribunaux. Mais l'heure n'est pas aux accusations. Ce serait mesquin. Nous menons actuellement une analyse approfondie du scrutin. Il y a six mois, vous étiez le roi de l'UDC. Aujourd'hui, vous êtes remis en question. Une situation blessante? Non, c'est voulu. Au lieu de présider le parti, j'ai voulu faire de la place à la relève. Un jour ou l'autre, je ne serai plus là. Il faut assurer la continuité. Certains élus sont d'avis que l'on ne peut plus vous montrer sur des affiches. Parce que, hors du parti, vous divisez trop... Un parti qui gagne polarise. C'est normal. Avant les élections, la cible première de la gauche, c'était Christoph Blocher. Nous avons répondu par des affiches, pour signaler que si on voulait me soutenir, il fallait voter UDC. Mais le but n'a jamais été que tout gravite autour de moi. Nous voulons un pays qui fonctionne mieux! Voilà le but. Vice-président responsable de la stratégie du parti, vous occupez le poste le plus important, non? Dans la foulée du 12 décembre, l'UDC a gagné 14 000 membres, qui ont bien sûr adhéré à la suite de ma non-réélection. Je ferai tout pour ne pas les décevoir. Mais je ne suis pas le président du parti. D'ailleurs, chacun a le droit de me critiquer. J'essuie des critiques depuis trente ans. Systématiquement après les élections, quand les gens n'ont rien d'autre à faire. Et il faut les comprendre: eux aussi veulent être quelqu'un! Vous admettez donc qu'à l'UDC il y a des gens qui veulent des mandats et de la reconnaissance, chose que vous avez toujours combattue? Bien sûr! L'UDC n'est pas composée que de héros. Et les autres partis non plus. Nous avons une ligne meilleure. Un message plus clair. Et chez nous, les leaders sont ceux qui travaillent le plus. Mais, comme les autres formations, nous n'avons pas que des bosseurs. Jusqu'en décembre, vous aviez une structure pyramidale. Aujourd'hui, avec une présidence à sept membres, le leadership paraît dilué... A dessein. La direction du parti était restée la même depuis que nous avions 10% de l'électorat. Après avoir triplé notre score au fil des ans, il fallait l'élargir. Maintenant, il faudra voir si c'est efficace et trouver le bon rythme. Mais laissez un peu de temps à cette nouvelle structure. Le seul constat à tirer pour le moment, c'est que les autres partis nous imitent. Mais à la différence de l'UDC, ils nomment une foule de gens à des postes clés sans leur attribuer de mandat précis. Juste en distribuant des titres. Toni Brunner, Jasmin Hutter ou Adrian Amstutz, jeunes membres de la présidence, sont des enthousiastes. Mais sont-ils des stratèges? Connaissez-vous un président de parti qui soit un stratège? Pour un président, ce n'est pas capital. L'important, c'est d'avoir une stratégie et de l'appliquer. La provenance de cette stratégie est secondaire. On peut reprocher aux nouveaux venus leur jeunesse. Mais on ne va pas demander à des jeunes d'agir comme des vieux! Ueli Maurer subissait les pires critiques quand il est entré en fonction. Or, comme Toni Brunner aujourd'hui déjà, il a été le meilleur des présidents de parti. Et vous, vous restez le stratège dont l'UDC a besoin. Oui, mais ce n'est pas grave. L'UDC a besoin de tout membre qui manifeste un esprit constructif. Vos élus romands reprochent à la direction une méconnaissance de leur terrain. A leurs yeux, il faut adapter certains messages aux francophones. C'est à prendre au sérieux. Pour les élections fédérales, l'UDC a toujours mené une seule campagne dans toute la Suisse, avec succès. Pour le reste, nous venons d'avoir une discussion. Et les revendications des Romands sont justifiées. Les francophones doivent collaborer à la définition des campagnes. Quitte à ce que nous ayons des campagnes différentes. Mais il faut se garder des compromis sur le fond! Il ne faut pas confondre le style et le contenu, comme le font certains qui ont rejoint le parti avant les élections parce que nous avions du succès, et qui, aujourd'hui, n'assument pas. Ça, c'est inacceptable. Vous êtes plus tolérant avec les Romands qu'avec certains Bernois... Nous n'avons pas de problème avec l'UDC bernoise. Certains Bernois ont un problème avec leur section cantonale. S'ils veulent rester, qu'ils discutent. S'ils veulent partir, qu'ils partent. Mais un nouveau parti n'a aucune chance. De nombreux échecs l'ont déjà montré. Et c'est logique. Un nouveau parti doit avoir un programme original. Ce que ces quelques Bernois n'ont pas. Dans les Grisons, c'est différent. On a été contraint de les exclure, mais pas pour des raisons politiques. Et ceux qui veulent en profiter pour faire cavalier seul doivent garder à l'esprit qu'ils n'auront du succès qu'à court terme. D'ailleurs, écoutez Samuel Schmid... Le lundi, il veut partir. Le vendredi, il revient sur ses propos. Il se rend compte que pour lui-même tout cela n'a aucune chance. Mais ce n'est pas mon problème. L'UDC ne risque-t-elle pas une campagne très difficile sur la libre circulation, avec des élus de l'aile économique favorables à l'extension et à la prolongation? C'est le seul thème sur lequel le parti n'a jamais parlé d'une seule voix. Cela dit, un parti doit pouvoir vivre avec cela. Il y aura une décision de la majorité, et il faudra s'y plier. Ceux qui auront un avis différent le défendront peut-être. On peut se le permettre, parce que nous sommes unis sur tous les autres thèmes. Cela devient plus problématique chez les radicaux ou les démocrates-chrétiens, qui sont divisés sur tous les sujets. Si l'extension et la prolongation de la libre circulation sont soumises au peuple dans le même paquet, combattrez-vous le tout? Nous y serons contraints. C'est la décision que nous avons prise au sein du groupe parlementaire et du comité du parti. A notre sens, la prolongation de l'accord est souhaitable, mais pas l'extension à la Bulgarie et à la Roumanie. Il faut donc présenter deux objets séparés au peuple, afin qu'il puisse choisir. L'inverse serait assimilable à des machinations antidémocratiques. Un non sur l'un ou sur l'autre des objets aurait les mêmes conséquences, avec une application de la clause guillotine. Non, la clause guillotine est un argument fallacieux. Si on refuse l'élargissement à la Bulgarie et à la Roumanie, il faudra renégocier certaines choses. Nous voulons une solution au problème des gens du voyage, comprenant des accords de réadmission, et la garantie de notre souveraineté fiscale. Cela fera partie de la négociation. En 2005, vous disiez: «Il faut oser la libre circulation.» L'aviez-vous dit uniquement en tant que conseiller fédéral? Ou êtes-vous aujourd'hui contre, parce que vous avez besoin de combats dans l'opposition? C'est vrai, j'avais parlé au nom du Conseil fédéral. Mais je ne vais pas vous dire quelle aurait été ma position si je n'avais pas été ministre. Pour le reste, je me bats contre le discours qui fait des Bilatérales la panacée. Je tiens à rappeler que nous n'avons qu'un an d'expérience réelle en matière de libre circulation, et encore, avec les anciens membres de l'UE. Attendons la récession pour en mesurer les effets concrets! L'UDC ne veut plus lancer d'initiatives, elle préfère se concentrer sur les référendums. Parce qu'il est plus facile de faire dire non à l'électorat? En premier lieu, le rôle de l'opposition est de contrôler le gouvernement et de souligner ses erreurs - ce qui est relativement facile actuellement. Pour ce faire, en tant qu'outil, le référendum s'impose. Soutiendrez-vous l'initiative pour l'interdiction des minarets? Ce n'est pas une initiative de l'UDC. Pour ma part, je n'y suis pas très favorable: j'estime que les minarets ne sont qu'un aspect d'un problème très complexe. Mais nous avons plusieurs élus qui soutiennent cette initiative. Je ne vais pas les en empêcher et ne ferai pas campagne contre eux. Quand l'UDC veut-elle retourner au gouvernement? Dès que possible. Nous nous poserons la question à chaque vacance. Dès le départ de Pascal Couchepin.