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Economia
20.01.2006
Discorso del consigliere federale Christoph Blocher in occasione della 18esima Assemblea dell’Albisgüetli dell’UDC zurighese, il 20 gennaio 2006 nella Schützenhaus Albisgüetli, Zurigo
20.01.2006, Zurigo
Zurigo, 20.01.2006. All’Assemblea dell’Albisgüetli di quest’anno, il consigliere federale Christoph Blocher parlò di tre oggetti che concernono intimamente la nostra concezione statale: la nuova legge sugli stranieri, la riveduta legge sull’asilo e la Swisscom. Rivolse inoltre agli astanti l’appello di sostenere gli oggetti con tre sì nell’interesse del Paese e del popolo, ma anche nell’interesse di una politica responsabile.
Dichiarazione del Consigliere federale Christoph Blocher dal 29 marzo 2006 in merito al clamore suscitato dal discorso dell'Albisgüetli 2006 : «Vorrei fare una precisazione in merito a un breve passaggio del mio discorso dell’Albisgüetli 2006. Il testo scritto definisce correttamente due cittadini albanesi come imputati di gravi reati. Nella versione orale, in un solo punto, ho parlato di criminali anziché di presunti criminali. È un errore di cui mi rammarico. Si è trattato di un puro e semplice lapsus. Non è mai stata mia intenzione dare a intendere che gli albanesi in questione fossero criminali condannati.»
I. L’Assemblea dell’Albisgüetli
Quasi vent’anni fa, quando fu inaugurata la prima Assemblea dell’Albisgüetli, i fondatori non pensarono certo che questa manifestazione politica avrebbe raggiunto una tale risonanza in Svizzera. Molti furono gli scettici: si immaginarono con ribrezzo manifestazioni elettorali dove a volte i politici che salgono sul podio sono più numerosi delle persone che ascoltano.
Ma le cose sono andate diversamente: oggi l’Assemblea dell’Albisgüetli è un’istituzione politica nel senso migliore del termine, conosciuta in tutta la Svizzera. Anche quest’anno può vantarsi, secondo quanto mi hanno comunicato gli organizzatori, di aver venduto tutti i 1’400 posti a sedere già il primo giorno, nonostante il prezzo d’entrata di settanta franchi.
II. Gli auspici del popolo e del Paese al centro dell’interesse
Cosa serve al Paese e al popolo? Cosa preoccupa le cittadine e i cittadini? Cosa si aspettano a buon diritto le persone dalla politica? Dobbiamo continuamente porci queste domande.
Dopo il crollo degli Stati socialisti oggi sappiamo che la politica socialista distrugge il benessere e l’occupazione. Ma sappiamo anche che il socialismo è un dolce veleno e che si sta diffondendo di nuovo in modo strisciante. Anche negli Stati industriali occidentali. Anche in Svizzera. Il socialismo è il contrario della responsabilità privata e dell’iniziativa privata. È d’impedimento all’economia e distrugge posti di lavoro. Ecco perché la politica regolamentare è così importante: meno regolamenti, meno imposte, meno tasse ed emolumenti! Questo deve essere sempre al centro dell’attenzione. Lottate fermamente contro il bilancio statale strabordante e le sue conseguenze. Gli interventi statali significano sempre maggiori imposte e tasse e dunque sono la causa principale dello smantellamento di posti di lavoro.
Cosa desiderano le Svizzere e gli Svizzeri dalla politica? Ad esempio la sicurezza. In strada. A scuola.
Chiedono anche la fine dell’immigrazione illegale e degli abusi onnipresenti nella nostra politica d’asilo iperburocratizzata. Vogliono essere protetti contro la criminalità che ne consegue.
Le aziende, le piccole e medie imprese, scricchiolano sotto il peso degli oneri statali, dei regolamenti, delle imposte e delle tasse. Abbiamo posto tutti questi problemi e preoccupazioni al centro della nostra politica.
Che si tratti di noi Consiglieri federali, di altri politici o di voi come partito politico, ognuno, al suo posto e a modo suo, ha l’obbligo di servire il popolo e il Paese.
Poiché l’Albisgüetli è una manifestazione che si svolge sempre all’inizio dell’anno, siamo obbligati a guardare al futuro. Signore e Signori, rispettando la tradizione, voglio anch’io chiedere: in questo nuovo anno cosa ci occuperà più di tutto?
Al centro della discussione politica dovrebbero esserci essenzialmente due grandi temi: il primo riguarda la nuova legge sugli stranieri e la riveduta legge sull’asilo, il secondo la privatizzazione di Swisscom. Per tutti gli oggetti è annunciato un referendum. Tutti gli oggetti scateneranno grandi discussioni di principio.
III. La nuova legge sugli stranieri
Da anni, la politica dell’asilo e degli stranieri preoccupa le Svizzere e gli Svizzeri. La pietra dello scandalo non è costituita né dai numerosi lavoratori stranieri che hanno ottenuto regolarmente un permesso di dimora in Svizzera né dall’ammissione dei rifugiati veri:
No, è costituita da tutti coloro che soggiornano ingiustificatamente o addirittura illegalmente nel nostro Paese, con gravi oneri per Confederazione, Cantoni e Comuni. Tempo, forza e denaro vengono sprecati. Autorità, tribunali, servizi sociali sono inutilmente oberati. Questo deve cambiare.
È compito di ciascuno Stato provvedere ai propri cittadini. Per questo oggi ogni Governo su questa terra decide quando gli stranieri ricevono un permesso di dimora – e anche quando no. Con un‘aliquota di stranieri del 21,7 per cento (fine 2004) la Svizzera presenta una delle maggiori aliquote di stranieri fra gli Stati dell’Europa occidentale! Ciononostante il nostro Paese non conosce periferie simili a ghetti con eccessi di violenza e interventi xenofobi. Lo dobbiamo soprattutto a un’economia funzionante che riesce a dare occupazione a così tante persone e quindi anche a integrarle. Nonostante l’elevata aliquota di stranieri, negli ultimi anni la disoccupazione in Svizzera è rimasta una delle più basse a livello europeo.
D’altro canto il livello salariale e il potere d’acquisto si mantengono fra i più elevati al mondo. A questo eccezionale bilancio ha contribuito la severa normativa riguardante gli stranieri, collaudata sin dagli anni 70, che dava la preferenza alla manodopera indigena e, segnatamente in periodo di surriscaldamento economico, limitava il numero massimo delle nuove forze lavorative straniere.
Dopo l’accettazione della libera circolazione delle persone con gli Stati UE, e una volta scaduta la speciale clausola protettiva, i cittadini UE saranno ampiamente parificati agli Svizzeri per quanto concerne il mercato del lavoro. Le conseguenze di questa libera circolazione delle persone sono ancora incerte. Le opportunità e i rischi sono stati esposti durante la lotta elettorale.
Quest’anno voteremo su una nuova legge sugli stranieri. In sostanza la legge disciplinerà le condizioni alle quali i cittadini non europei possono chiedere un permesso di lavoro e i presupposti per far valere il ricongiungimento familiare. Inoltre, con nuovi disciplinamenti si lotterà contro l’entrata illegale e la dimora illegale degli stranieri.
Ovviamente a ciascuno dovrebbe essere comprensibile che la Svizzera non può aprire le frontiere alle persone di tutto il mondo.
Con la generosissima soluzione nei confronti dei cittadini dell’UE (in teoria hanno la possibilità di vivere e lavorare da noi 450 milioni di persone) risulta evidente che una totale apertura delle frontiere a tutti gli Stati del mondo non è possibile, anche se il partito socialista e i Verdi lo vogliono. Ecco perché respingono la nuova legge sugli stranieri. Auspicano una libera circolazione totale delle persone, ma una siffatta apertura globale farebbe collassare il nostro intero sistema sociale.
L’UDC, insieme con la maggioranza del PRL e del PPD, ha elaborato in proposito una soluzione responsabile: il permesso di lavoro ai cittadini dei Paesi extraeuropei deve essere estremamente restrittivo e limitato soprattutto alle persone altamente qualificate e agli specialisti.
IV. La riveduta legge sull’asilo
Vi è un altro settore disciplinato dalla riveduta legge sull’asilo che sarà parimenti sottoposta in votazione.
La Svizzera non ha mai rilasciato un permesso di dimora soltanto alle persone di cui il nostro mercato del lavoro aveva bisogno. Abbiamo sempre accettato anche coloro che erano perseguitati nel loro Paese. Ovviamente per questa gente non esistevano ancora prestazioni sociali o altri aiuti elargiti dallo Stato. Hanno comunque potuto entrare in Svizzera, farsi ospitare da privati per poi divenire rapidamente autonomi. Cito ad esempio tutti i rifugiati religiosi del periodo della Riforma come gli Ugonotti. Si trattava di gente intraprendente. Ad essi si devono interi settori industriali della Svizzera.
Un altro esempio: nel 1871 trovarono ospitalità in Svizzera 87'000 soldati dello sconfitto esercito di Bourbaki. In tre giorni il numero degli abitanti della Svizzera è cresciuto del tre per cento!
Anche durante la Seconda guerra mondiale la Svizzera ha offerto protezione ai perseguitati. Nonostante l’insufficienza delle autorità, durante la guerra nessuno Stato al mondo ha ospitato pro capite più rifugiati della Svizzera.
Più tardi arrivarono anche quelli provenienti dagli Stati comunisti. Mi riferisco agli Ungheresi che trovarono rifugio in Svizzera 50 anni fa.
Anche oggi la Svizzera ammette annualmente circa 1'500 rifugiati perseguitati e concede l’ammissione provvisoria a circa 4'000 persone realmente minacciate. Nessuno mette in discussione la nostra tradizione umanitaria nei confronti dei rifugiati. E così deve continuare.
Ma, Signore e Signori, ciò che non abbiamo ancora risolto sono gli enormi abusi perpetrati nel settore dell’asilo. Oltre l’85 per cento di tutti i richiedenti l’asilo non sono rifugiati politici. Numerosi di essi desiderano semplicemente approfittare dell’elevato standard di vita svizzero.
Vivono di aiuti sociali e non raramente sono coinvolti in remunerativi affari di passatori, nella criminalità organizzata e in particolare nel traffico di stupefacenti. Questo non è nient’altro che abuso del diritto d’asilo.
Fino a due anni fa, questi abusi sono stati semplicemente messi in discussione da numerosi politici – e ancora oggi esistono delle cerchie che cercano di negare o respingere questa scomoda realtà.
Questi problemi vanno tuttavia affrontati seriamente se vogliamo salvaguardare la nostra tradizione umanitaria nei confronti dei rifugiati. I primi successi sono già stati ottenuti grazie a una prassi conseguente. Il numero delle nuove domande d’asilo nello scorso anno è calato di oltre il 29 per cento, quindi in misura maggiore rispetto ad altri Stati equiparabili dell’UE. Ma nella procedura d’esecuzione l’effettivo è ancora troppo elevato. La riduzione già raggiunta, anch’essa più o meno pari al 29 per cento, non è ancora sufficiente. Il problema principale è che il maggior numero dei richiedenti l’asilo si presenta senza documenti di viaggio validi.
Nella maggioranza dei casi, a essere senza documenti non sono i rifugiati veri, la cui vita è effettivamente in pericolo, ma sono soprattutto quelli che non hanno validi motivi per chiedere l’asilo. Spesso hanno nascosto, gettato o distrutto il loro passaporto. Perché?
Perché con la procedura vigente per l’ottenimento dell’asilo chi nasconde o distrugge i propri documenti è avvantaggiato nei confronti di chi si comporta correttamente e li presenta. Se non si entra nel merito di una domanda d’asilo o questa viene respinta dopo un esame materiale, l’interessato rimane spesso nel nostro Paese poiché di regola non rientra in Patria volontariamente e le autorità non lo possono rimpatriare per mancanza dei documenti.
La colpa non è di quelli che sfruttano questo sistema, bensì di quelli che lo mettono a disposizione!
Signore e Signori, senza modificare la legge non è possibile rendere credibile l’esigenza politica “Protezione dei rifugiati – diminuzione degli abusi”.
Per questo dobbiamo modificare le basi legali. Per questo la nuova legge recita:
Art. 32 cpv. 2 lett. a nonché cpv. 3 LAsi
2 Non si entra nel merito di una domanda d’asilo se il richiedente:
1. non consegna alle autorità alcun documento di viaggio o d’identità entro 48 ore
dalla presentazione della domanda;
3 Il capoverso 2 lettera a non si applica se:
1. il richiedente può rendere verosimile di non essere in grado, per motivi scusabili, di consegnare documenti di viaggio o d’identità entro 48 ore dalla presentazione della domanda;
2. la qualità di rifugiato è accertata in base all’audizione, nonché in base agli arti
coli 3 e 7; o
3. l’audizione rileva che sono necessari ulteriori chiarimenti per accertare la qualità
di rifugiato o l’esistenza di un impedimento all’esecuzione dell’allontanamento.
Come vedete: anche i richiedenti l’asilo che non posseggono documenti possono, anche in futuro, essere ammessi come rifugiati. Ma la distruzione dei documenti non deve più permettere di conseguire un vantaggio!
È veramente pretendere troppo che qualcuno – rifugiato o no – dica come si chiama e da dove viene? In che modo questo dovrebbe infrangere la „tradizione umanitaria“? Non si tratta di andare contro i rifugiati veri, ma contro i richiedenti che giungono nel nostro Paese senza validi motivi per chiedere l’asilo e che, su consiglio dei passatori, distruggono, nascondono o non presentano intenzionalmente i propri documenti. Di persone che falsificano o occultano il loro nome, il loro domicilio, la loro Patria o la loro età.
Gentili Signore, egregi Signori, anche la legge sull’asilo riveduta salvaguarda e garantisce ovviamente la protezione dei rifugiati veri nel nostro Paese, ma altrettanto decisamente intende eliminare gli abusi eclatanti nel settore dell’asilo. Solamente con questa combinazione otteniamo una politica sostenibile e credibile in materia di rifugiati.
Tutti voi conoscete esempi particolarmente eloquenti riferiti dai massmedia.
Come il caso della famiglia rom di Rüschlikon. Ripetuti gravi atti di violenza, costi per milioni di franchi, decisione negativa in merito all’asilo – e ciononostante la famiglia vive sempre qui. Ma perché? Questo caso è stato pendente per anni presso la Commissione di ricorso in materia d’asilo. L’avete sentito; questa settimana si è finalmente deciso. Il capofamiglia e il figlio maggiorenne devono lasciare la Svizzera, gli altri possono, per il momento, restare. La Commissione di ricorso in materia d’asilo è una così detta commissione “autonoma”. Significa che decide „in modo indipendente“ e pertanto è impossibile gettare un’occhiata fra le carte. È bene che adesso vi sia una sentenza, ma è naturalmente meno bene che ci sia voluto così tanto tempo.
Dal 2007 la Commissione di ricorso in materia d’asilo farà parte del Tribunale amministrativo federale. Speriamo che questo nuovo tribunale pensi, oltre che alla responsabilità giuridica, anche alle conseguenze per il nostro Paese di decisioni continuamente rinviate.
V. Sul luogo del non evento
Come imprenditore, mi sono abituato a seguire le faccende della vita quotidiana. Ogni tanto faccio visita anche agli uffici distaccati e ai centri di registrazione, a quei luoghi insomma dove arrivano i richiedenti l’asilo e vengono fatti i primi chiarimenti.
Ogni volta mi preoccupo di spuntare inatteso. Un anno fa mi recai all’alloggio per richiedenti l’asilo dell’aeroporto di Zurigo. La direttrice mi guardò visibilmente sorpresa perché lì non è usuale la visita di un consigliere federale. Normalmente non vi si reca nessun ministro di giustizia. Chiesi alla signora come andava. Inizialmente mi diede una risposta vaga e io insistetti nel chiedere se avesse troppo da fare. La donna riteneva di no: „Negli ultimi giorni abbiamo registrato effettivamente poche nuove entrate.“ – „Non ha bisogno di essere così afflitta“, le risposi, „non sono affatto cattive notizie.“ Ma poi aggiunse che proprio quella mattina erano arrivati sette Tamil che ne avevano annunciati altri sei per il lunedì successivo. „Sì, ma arrivano ancora Tamil? E perché?“
Per quanto ne so, attualmente nello Sri Lanka non vi sono persecuzioni politiche. La donna disse che anche lei non ne conosceva le ragioni esatte. In ogni caso i sette richiedenti l’asilo si trovavano insieme al primo piano per un interrogatorio. Era un po’ prima di mezzogiorno, salii le scale e mi recai inatteso nell’apposita stanza.
I sette uomini avevano già lasciato la stanza, ma i collaboratori erano ancora lì. Parlai con loro e chiesi da dove venivano esattamente i sette uomini. „Con un volo da Colombo a Varsavia e oggi sono atterrati in Svizzera con la Swiss. Tutti e sette senza documenti.“ – „Senza documenti? Ma come hanno potuto volare? In Polonia avranno ben avuto i documenti per cambiare aereo.“ Entrò in quel momento un uomo dalla stanza accanto e mostrò una ciotola piena di passaporti ridotti in pezzetti. Chiesi: „Come ha avuto questi documenti?“ – „Ce li ha portati una donna della pulizia dei gabinetti in aeroporto“. Ritenevano ragionevolmente che i giovani dovessero senza indugio ritornare con un volo a Colombo. Il responsabile della polizia che mi stava accanto disse che non era una faccenda di cui preoccuparsi, anche le autorità avrebbero senz’altro riammesso le persone, sebbene senza passaporti; ma l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati non avrebbe mai approvato un rimpatrio immediato. Ciascun richiedente deve dapprima essere trasferito in un centro di registrazione dove si svolge la procedura ordinaria per l’ottenimento dell’asilo. Uno dei presenti aggiunse che questa prassi avrebbe fatto sì che i sette uomini sarebbero rimasti lì per mesi, benché non fossero rifugiati.
Chiesi dove soggiornavano in quel momento i Tamil. Si erano appena recati in dormitorio. „Posso vederli?“ Mi risposero di sì e, accompagnato dal mio usciere nella sua regolare uniforme verde, salii al dormitorio. Non appena aprimmo la porta, tutti e sette si alzarono immediatamente dal loro giaciglio per mettersi in rango come giovani soldati poiché supponevano che l’usciere fosse un poliziotto. Giovani aitanti, probabilmente anche diligenti. Chiesi se parlassero un po’ l’inglese. Il primo annuì. Gli chiesi da dove venissero e mi rispose da Colombo. Volli poi informarmi sul perché si fossero rifugiati in Svizzera. Tutti e sette si misero a gridare: "Tsunami, Tsunami, Tsunami". Interessante, pensai, ma lo Tsunami ha investito la costa orientale dello Sri Lanka e Colombo si trova esattamente dall’altra parte. Se gente proveniente da Colombo chiede asilo a causa dello Tsunami è altrettanto assurdo come se dopo un’inondazione nel Canton Ticino, un abitante dell’Altipiano zurighese annuncia un sinistro alla propria assicurazione. Quando spiegai al gruppo l’assurdità della risposta, nessuno di loro sapeva più l’inglese…
Nel corso dell’anno ho seguito l’evoluzione di questa domanda d’asilo in quanto ero interessato a vedere i risultati concreti di un sì evidente abuso: per sei di questi richiedenti l’asilo le procedure sono chiuse. La domanda d’asilo è stata respinta. Per il settimo è ancora pendente un ricorso presso la CRA. Di per sé la rapidità procedurale sarebbe da ritenere un successo. Quelli che hanno ricevuto risposta negativa nel frattempo si sono però dileguati, per cui non abbiamo potuto rimpatriarli nello Sri Lanka.
Signore e Signori, questi e analoghi fatti succedono quotidianamente. Migliaia all’anno. Circa 50'000 persone hanno la procedura d’asilo in corso. L’anno scorso oltre 10'000 persone hanno presentato una nuova domanda d’asilo. 1'497 di loro, ovvero il 13,6 per cento hanno ottenuto lo statuto di rifugiato, altre 4'436 sono state ammesse provvisoriamente. Tutte le altre devono lasciare il nostro Paese. E il più presto possibile.
Oggi non ci sono basi legali sufficienti per impedire siffatti giri a vuoto e per consentire in avvenire interventi più efficaci. Tuttavia il nostro ordinamento giuridico non deve offrire nessuna piattaforma a tali abusi e inconvenienti sistematici. Oltre a una burocrazia insensata, la legislazione vigente comporta anche un enorme onere finanziario a carico della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni e quindi della popolazione. Se rapportiamo i costi totali nel settore dell’asilo al numero dei rifugiati riconosciuti, ogni rifugiato legale costa circa un milione di franchi. È „umanitario“? È intelligente? La popolazione è ancora disposta a sopportarlo?
Anche i più recenti casi dettagliatamente illustrati dalla stampa devono condurre ad altre soluzioni. Ecco un ultimo esempio: due Albanesi ricercati sul piano internazionale presentarono nel 2004 una domanda d’asilo. A uno si imputavano quindici aggressioni, l’assassinio di due persone e il rapimento di un bambino. Inoltre avrebbe partecipato a diversi attentati mortali. L’altro era sospettato di aver partecipato comunque a cinque rapine.
L’Ufficio federale dei rifugiati decise senza indugio di respingere le domande d’asilo. L’Ufficio federale di giustizia decise – dopo regolare riesame delle accuse – l’estradizione dei due Albanesi.
Un caso chiaro? Sì.
Ma non per la Commissione di ricorso in materia d’asilo che accoglie il ricorso dei due Albanesi: ad entrambi è accordato l’asilo. In tal modo due imputati per gravi crimini diventano due rifugiati. Per completare la storia, aggiungo che la decisione era di ultima istanza in quanto anche il Tribunale federale decise la loro liberazione risarcendo loro i costi per avvocati, interpreti e traduttori e riconoscendo loro anche un risarcimento per la detenzione. Anche se la riveduta legge sull’asilo è approvata dal popolo, il nostro lavoro continua in quanto permangono ancora alcune lacune nel diritto d’asilo, come evidenziato da questo esempio.
VI. Date allo Stato quel che è dello Stato
Nel 2006, oltre che delle leggi sull’asilo e sugli stranieri, ci occuperemo anche di un oggetto di tutt’altro tipo. Si tratta di sapere fino a che punto un’impresa dell’economia di mercato è in grado di sopportare l’intervento statale o meglio se lo Stato, quale imprenditore nell’economia di mercato, è in grado di recepire la propria responsabilità. Parlo in particolare di Swisscom e quindi di un’azienda apparentemente privatizzata che appartiene per due terzi alla Confederazione.
Nel mese di novembre, la Swisscom stava per rilevare una società Telecom irlandese, cosa che indusse il Consiglio federale a prendere alcune decisioni fondamentali. Esso era del parere che un impegno estero di questa portata comportava troppi rischi ed inoltre seguiva una strategia errata. Inoltre ha imposto alla Swisscom di versare agli azionisti il capitale eccedentario. Con ciò sarebbero venuti a mancare i capitali per tentare siffatte avventure. Infine, terzo passo, il Consiglio federale presenterà tosto al Parlamento un progetto inteso a promuovere la dissociazione fra lo Stato e la Swisscom.
Come impresa privata o privatizzata, Swisscom può agire liberamente. Il servizio universale è garantito per legge.
Qui i parallelismi con la ex-SWISSAIR sono evidenti. Anche Swisscom, come la ex-SWISSAIR, proviene da un mercato più o meno regolato. Questo mercato indigeno sinora protetto incomincia a cedere e non cresce più. I ricavi ci sono ancora. Il successo appare ancora sicuro. Ma la ditta ristagna nel proprio territorio ormai saturo. E arriva la tentazione di acquisire imprese all’estero. La ditta diventa sì più grande, ma i problemi rimangono i medesimi. Anzi, i rischi aumentano poiché le imprese di telecomunicazione estere soffrono degli stessi mali: anch’esse non possono più crescere, anch’esse sono messe in difficoltà dalle nuove tecnologie di comunicazione e da altri concorrenti. Se acquistate un’impresa con problemi uguali a quelli della vostra impresa e pensate di aver così trovato la soluzione equivale, vi sbagliate di grosso: è come credere nei miracoli. Meno moltiplicato per meno dà più soltanto nel mondo astratto della matematica. Nel mondo degli affari significa il tracollo.
Già dieci anni fa la Swisscom cercò di stabilirsi all’estero, fallendo però ogni volta: in India, Malaysia, Cechia, Ungheria e Austria. Con la tedesca Debitel, la direzione dell’impresa perse addirittura 3,3 miliardi di franchi. Invece di mutare strategia si cercò di mirare a una fusione con la Tele Austria austriaca. Per fortuna tutto naufragò già prima della firma. Ora dovrebbe improvvisamente essere la volta dell’iperindebitata Eircom, rispettivamente della società danese TDC.
Il 23 novembre 2005 il Consiglio federale ha preso un’importante decisione vietando di seguire questa via. Fin quando lo Stato è proprietario di maggioranza, la Swisscom non potrà più assumere siffatti rischi. La responsabilità verso il popolo non lo permette! Decisioni sbagliate e insuccessi all’estero non soltanto provocherebbero una crisi dell’impresa, ma anche dello Stato. Infatti la Svizzera non dovrebbe soltanto rispondere come azionista normale, ma come azionista maggioritaria e come Stato sarebbe tenuta a una ben maggiore responsabilità.
VII. Le imprese dell’economia di mercato non devono essere di proprietà dello Stato
Nella libera concorrenza, lo Stato non può essere presente come impresa. Fondamentalmente sarebbe il proprietario sbagliato. Questo a maggior ragione quando il tutto è vincolato a un’attività internazionale e quindi comportante maggiori rischi. Non può essere compito dello Stato svizzero garantire il servizio pubblico in Cechia, Ungheria, Austria, Malaysia, India e poi anche in Irlanda e Danimarca. Sarebbe come se la Televisione svizzera tedesca si espandesse all’estero e programmasse „Samschtig Jass“ in Irlanda e Malaysia per poi sopportare siffatto fallimento ricorrendo alle vostre tasse.
Il Consiglio federale è un’autorità politica e non è eletto per guidare un’impresa. Ciononostante è responsabile delle imprese che appartengono allo Stato. Tale responsabilità non può essere disattesa, nemmeno per incapacità, timore o trascuratezza. Perciò il Consiglio federale ha deciso, invero tardi, ma ancora in tempo e a ragione.
Non vi è più alcun motivo che imponga allo Stato svizzero di essere proprietario di Swisscom. Sarebbe ancora stato sensato e giusto all’epoca delle PTT che coprivano tutto il settore delle telecomunicazioni. Oggi non è più così. Il servizio universale è in ogni caso garantito per legge anche se Swisscom divenisse autonoma. Le imprese di telecomunicazione competono in Svizzera per accaparrarsi il permesso di gestire questo servizio universale. Fino al 2007 questo privilegio è stato assegnato a Swisscom. Successivamente il „mandato per il servizio universale“ – come è ancora chiamato erroneamente l’ultimo miglio – sarà nuovamente messo a concorso.
Che cosa ci insegna questa vicenda Swisscom? Diversamente dai filosofi, i politici non devono annunciare belle teorie e seguire visioni, bensì risolvere problemi concreti.
Il Consiglio federale ha riconosciuto i pericoli e ha agito prontamente e con efficacia.
VIII. Conclusione
Gentili Signore, egregi Signori,
siamo agli inizi dell’anno politico 2006. I tre oggetti menzionati – la nuova legge sugli stranieri, la riveduta legge sull’asilo e la Swisscom – vanno oltre le semplici questioni giuridiche. Tutti e tre gli oggetti concernono intimamente la nostra concezione statale.
All’Assemblea dell’Albisgüetli 2006 vi rivolgo l’appello di sostenere gli oggetti con tre sì nell’interesse del Paese e del popolo, ma anche nell’interesse di una politica responsabile. Avete sentito perfettamente. Vi esorto a dire tre volte sì!
Negli anni passati l’UDC ha dovuto spesso dire NO nell’interesse del Paese e del popolo perché venivano proposte soluzioni inaccettabili per l’UDC.
Per lungo tempo siamo stati chiamati il “partito del no”. Ho sempre risposto: purtroppo ci pongono sempre le domande sbagliate. Oggi, nel 2006 le domande sono quelle giuste:
volete una legge sull’asilo efficace che si opponga ai costosi e irritanti abusi del diritto d’asilo?
Volete una legge sugli stranieri che disciplini in modo sensato l’immigrazione e consenta di contenere il numero degli illegali?
Volete che la Swisscom mantenga la propria libertà imprenditoriale senza che qualcuno debba rinunciare alla propria linea telefonica oppure che il popolo svizzero sperperi miliardi?
Nella mia qualità di consigliere federale vi chiedo oggi di dire sì alle tre proposte del Governo e di battervi per questo sì. Infatti le proposte contengono buone soluzioni! Ciò ovviamente non significa che anche in avvenire dobbiate dire sì e amen ad ogni proposta del Consiglio federale…
16.01.2004
Etat des lieux politique à l'occasion de la 16e Réunion de l'Albisgüetli de l'Union démocratique du centre du canton de Zurich
16.01.2004, Zurich
Les paroles prononcées font foi
16.01.2004
Eine politische Standortbestimmung anlässlich der 16. Albisgüetli-Tagung der Schweizerischen Volkspartei des Kantons Zürich
16.01.2004, Zürich
Es gilt das gesprochene Wort
Freitag, 16. Januar 2004, im Schützenhaus Albisgüetli, Zürich
Es gilt sowohl das gesprochene als auch das geschriebene Wort, wobei sich der Referent vorbehält, auch stark vom Manuskript abzuweichen.
Herr Nationalratspräsident,
Herr Kantonsratspräsident,
Herr Verfassungsratspräsident,
Herr Regierungspräsident,
Frau Regierungsrätin,
Herr Regierungsrat,
Herren Ständeräte, Nationalräte und Kantonsräte,
Herren Bundesrichter und Oberrichter,
Herren Korpskommandanten und Divisionäre,
Liebe Mitglieder, Freunde, Sympathisanten und Kampfgefährten der
Schweizerischen Volkspartei,
Liebi Fraue und Manne,
Ich heisse Sie herzlich willkommen zur 16. Albisgüetli-Tagung 2004.
Kurz nach dem 10. Dezember 2003 habe ich einen Brief erhalten, worin mir ein weitsichtiger Bürger mitteilte: "Gut, sind Sie in die Regierung gewählt worden, so hat das Albisgüetli wenigstens einen Bundesrat in den nächsten Jahren. Oder muss die SVP beim ,Herrn Bundesrat Blocher' jetzt auch mit einer Absage rechnen?"
Nein, meine Damen und Herren. Es gibt immerhin böse Zungen, die behaupten, Blocher sei nur deshalb Bundesrat geworden, damit an jeder Albisgüetli-Tagung ein Bundesrat anwesend sei. Ich versichere Ihnen lediglich, dass mich kein Beschluss des Gesamtbundesrates je davon abhalten wird, am Albisgüetli teilzunehmen...
I. Einmal mehr: Sonderfall Schweiz
Als wir uns nach den vorletzten Parlamentswahlen, also vor vier Jahren, hier zusammen fanden, fragten wir uns, wie der Erfolg der SVP zu erklären sei. Wir kamen auf folgende Eckpunkte:
- Auftrag erfüllen statt Prestige pflegen
- Themen statt Pöstchen besetzen
- Selbstverantwortung geht vor Umverteilung
- Den Sonderfall Schweiz begreifen
- Das Undenkbare denken und auch sagen
Diese Erfolgsrezepte werden ihre Gültigkeit immer bewahren. Das sind Richtlinien, die für eine Oppositionspartei genauso gelten wie für eine Regierungspartei. Das gilt für Bundesräte wie für Nichtbundesräte.
Als die SVP 1999 zur wählerstärksten Partei avancierte, bin ich damals pflichtschuldigst zur Bundesratswahl angetreten. Doch die anderen Parteien zogen eine Mitte-Links-Regierung vor, auch wenn eine grosse Mehrheit im Volk diese Politik nicht mittrug. Ich sagte damals: "Wir sehen uns bei Philippi wieder." Manche haben darüber spekuliert, was wohl damit gemeint sei. Einige meinten, ich hätte mich versprochen und eigentlich im Hinblick auf die nächste "Arena"-Sendung des Schweizer Fernsehens sagen wollen: "Wir sehen uns bei Filippo wieder." Nein, ich meinte damals die nächsten Wahlen im Jahr 2003. Und tatsächlich: Wir haben uns bei Philippi wiedergesehen. Die Resultate dieser letzten Parlamentswahlen schufen die Grundlage für meine Wahl zum Bundesrat. Ich staune, ehrlich gesagt, noch heute über meine Wahl. Das heisst nicht, dass ich meine Kandidatur nicht ernst genommen hätte. Es war mir sehr ernst, aber überrascht war ich trotzdem. Ich hätte es dem schweizerischen Politsystem nicht zugetraut, gerade weil ich es so lange kenne. Auch anderen ging das so: Einige sprachen von einem Betriebsunfall, andere von einem Wunder, dritte von einem schwarzen Tag. Da haben alle, je nach Gesichtspunkt, etwas recht. Aber im Grunde war diese Wahl ein weiterer Beweis dafür, dass wir in einem politischen Sonderfall leben.
So richtig gemerkt habe ich dies wieder, als ich mir nach der Wahl Gedanken über das Bundesratsamt machte. Vor fast zehn Jahren sagte ich in einem Interview: "Die Bundesratswahl ist heute geradezu unappetitlich. Das ist die oberste Sprosse einer Leiter, die es zu erklimmen gilt. Und die Sprossen überwindet nur einer, der sich allseits gut stellt, sich immer wieder erkundigt: Was muss ich vertreten, dass ich höher komme? Man darf sich mit diesem und jenem nicht überwerfen, und am Schluss steht man auf der obersten Sprosse, abgeschliffen und angepasst bis zur Selbstverleugnung..." (Wolf Mettler: "Liebi Fraue und Manne...", Schaffhausen 1995, S. 81)
Ich habe meine politische Meinung im Vorfeld der Wahl nicht im geringsten preisgegeben, ich habe mich weder gegen links noch rechts verneigt und bin dennoch Bundesrat geworden. Und so muss ich jetzt sagen, ich habe mich getäuscht. Ich habe zu wenig bedacht, dass sogar bei Bundesratswahlen die Schweiz ein Sonderfall ist. Es ist überhaupt seltsam: In der Schweiz besteht die oberste vollziehende Behörde, die dem Parlament und dem Volk Rechenschaft schuldet, aus einem Kollegium von sieben gleichberechtigten Mitgliedern. Wir haben keine nur für einen bestimmten Geschäftsbereich zuständige Minister in beliebig wechselnder Anzahl, die von einem Regierungschef ein- und abgesetzt werden und diesem allein verpflichtet sind. Wir haben eine Mehrparteienregierung, in der die Regierungsvertreter von den anderen Parteien gewählt werden. Wir haben ein System, in dem es keinen dominanten Staatspräsidenten gibt und nicht einmal die wählerstärkste Partei Anspruch auf die Bildung einer Regierung hat. Und jetzt haben wir den kuriosen Fall, dass jemand Bundesrat geworden ist, den eine Mehrheit im Parlament eigentlich gar nicht haben wollte. Wenn das kein Sonderfall Schweiz ist! In jedem anderen Land würden die bisher Regierenden zurücktreten und die Opposition in die Regierung berufen. In der Schweiz bleiben die bisher Regierenden, deren Parteien verloren haben, und derjenige, der Widerstand geleistet hat, wird neu aufgenommen. Wenn das kein Sonderfall ist!
II. Mehr SVP-Politik im Bundesrat
Man hat mir das Justizdepartement übertragen. Jenes Departement also, bei dem es die meisten Differenzen zwischen der bisherigen bundesrätlichen Politik und der SVP gibt. Es geht um die Fragen der Sicherheit und Kriminalität, um das Asylwesen, um Einbürgerungen, um die Ausgestaltung des Strafrechts, um die Migrationspolitik und die Integration. Offenbar hat sich der Bundesrat gefragt: Wer hat die besten Ideen in diesem Bereich? Welche Partei hat griffige Rezepte gegen den Asylrechtsmissbrauch vorgelegt? Wer hat mit guten Gründen die Abkommen von Schengen und Dublin hinterfragt? Von wem können wir eine konsequentere Gangart im Strafrecht und im Strafvollzug erhoffen? Nach diesen Überlegungen hat sich der Bundesrat für mich als Vorsteher des EJPD entschieden. Das nehme ich jedenfalls so an. Ich selber dachte ja, ich sei von meiner Erfahrung her eher für das Finanzressort oder die Wirtschaft geeignet. Aber nein, die Regierung will im Justizdepartement mehr SVP-Politik. Der ehemalige SP-Parteipräsident Helmut Hubacher meinte zwar: "Blocher als helvetischer Justizminister ist wie die gerechte Strafe Gottes" ("Die Weltwoche", 18.12.2003). Für wen diese Wahl eine Strafe ist, hat er allerdings nicht gesagt. Was mag Herr Hubacher wohl damit gemeint haben? Glaubt er etwa, der Bundesrat habe mich mit Hintergedanken ins EJPD gesteckt? Glaubt Herr Hubacher tatsächlich, eine Landesregierung würde so kleinkrämerisch und bösartig handeln? Hat Herr Hubacher denn gar keinen Respekt vor Amt und Würde des Bundesrates? Und überhaupt: "Eine gerechte Strafe Gottes"! Seit wann glauben Sozialisten an einen Gott?
Wofür steht denn der Bundesrat? Es gehört zum Wesen unseres Staates, dass keiner direkt wirken und entscheiden kann, auch wenn man wüsste, was richtig und notwendig wäre. Häufig kann man nur Fehlentwicklungen verhindern. Eine Aufgabe, die übrigens meistens und schon sehr lange vom Volk übernommen wird. In unserer direkten Demokratie gehört der letzte Entscheid ja immer dem Souverän. Die eigentliche Aufgabe des Bundesrates liegt in der Umsetzung des demokratische Wählerwillens. Es ist deshalb eine Unsitte, dass sich der Bundesrat immer mehr und immer parteiischer in Abstimmungskämpfe einmischt. Dadurch wird der Bundesrat unter Umständen mit Vorlagen identifiziert, die er gar nicht selber eingebracht hat. Das schwächt sein Ansehen. Ein solches Vorgehen untergräbt aber auch den Zusammenhalt im Volk, weil sich in jedem Fall wesentliche Bevölkerungsteile von der Regierung nicht mehr vertreten fühlen. Es ist nicht statthaft, dass die Legislative die Abstimmungskämpfe an die Exekutive delegiert. Denn die Arbeit der Exekutive beginnt erst nach einem Volksentscheid - so will es die Gewaltenteilung. Heute vertritt der Bundesrat häufig Vorlagen, die ursprünglich von Parteien oder Verbänden stammen. Kürzlich meinte eine frisch gewählte FDP-Nationalrätin, sie erwarte vom neuen Bundesrat einen "beherzten Einsatz" (Christa Markwalder im "Bund", 29.12.2003) für die Mutterschaftsversicherung. Eben nicht! Das ist keine Aufgabe von Bundesrat und Verwaltung in einer Konkordanzregierung. Wer hier die Zurückhaltung aufgibt, gefährdet letztlich Sinn und Zweck unseres Konkordanzsystems. Wir haben schliesslich eine numerische, eine arithmetische Konkordanz und keine politische. Das Führen von Abstimmungskämpfen ist also Sache der Parteien, Verbände und Politiker. Darum sollten wir die staatliche, mit öffentlichen Geldern finanzierte Propaganda sofort beenden.
III. Von der lebensfeindlichen Bürokratie
Meine ersten Eindrücke und Schlussfolgerungen nach vierzehn Tage Einblick in die Bundesverwaltung:
In den letzten Jahren ist nicht nur unsere Verwaltung immer bürokratischer geworden, auch die Wirtschaft, ja das persönliche Leben jedes Einzelnen wird zunehmend staatlich reguliert. Davon ist auch ein Bundesrat nicht ausgenommen. Kaum hatte ich mit meiner Arbeit begonnen, fragte mich mein geschätzter Weibel, wann ich den Kaffee serviert haben möchte. Ich sagte: "Bringen Sie mir den Kaffee, wenn ich nach einem verlange." Worauf der Weibel anfügte: "Das ist nicht so einfach. Wir führen eine Liste für private und repräsentative Kaffees. Die werden separat abgerechnet und durch das Finanzdepartement kontrolliert. Sie müssen mir jeweils sagen, zu welchem Anlass Sie Ihren Kaffee trinken wollen." Meine Antwort: "Ich zahle Ihnen die Kaffeebohnen, dann müssen Sie nicht mehr abrechnen." Antwort des pflichtbewussten Weibels: "Das geht nicht: Auch die Gäste des Aussendepartements trinken von diesem Kaffee, und einmal pro Woche sogar alle Bundesräte bei ihrer Sitzung." Also muss kontrolliert, aufgeschrieben und verrechnet werden. Die Weibel haben inzwischen ein sinnvolleres System erdacht.
Bürokratie entsteht überall da, wo man versucht ist, jedes auftauchende Problem oder Problemchen mit Vorschriften und Massnahmen so zu regeln, dass es sich nicht mehr stellen kann. Absurd wird die Bürokratie, wenn die aufgewendeten Regelungen in keinem Verhältnis mehr zur Grösse des tatsächlichen Problems stehen und wenn die neuen Vorschriften alle normal Denkenden und Handelnden derart einschränken, dass ihre Produktivität und Kreativität behindert wird. Von einem weiteren Beispiel hat mir ein Zürcher Weinbauer in einem Brief berichtet: Weil ein Weinimporteur seinen Wein in unerlaubtem Mass mit algerischem Rotwein gepanscht hatte, wurde eine Reihe von neuen Vorschriften - totale Registrierung jeder Flasche - erlassen. Und zwar für alle. Statt den einen Delinquenten mit einer ordentlichen Busse zu bestrafen, bestraft die Bürokratie alle, auch die Unbescholtenen. Der Weinbauer klagte mir, dass diese zusätzliche Verwaltungsarbeit für ihn kaum noch finanzierbar wäre. Damit keiner mehr betrügen kann, wird jede Initiative lahmgelegt.
Häufig sind es auch Politiker, die aufgrund von möglichen kleinen Unrechtmässigkeiten oder wegen seltener Einzelfälle nach weiteren Vorschriften rufen, die dann ein normales Arbeiten äusserst erschweren, teilweise sogar verunmöglichen. Dazu kommen die unzähligen Gesetze, die nur schon deshalb eingeführt werden, weil sie das Leben unserer Bürger in vorauseilendem Gehorsam den Gesetzen anderer Staaten anpassen oder, wie es so schön im Beamtendeutsch heisst, "harmonisieren" wollen.
Werden all diese bürokratischen Regelungen, Vorschriften und Gesetze dann noch getreu dem Buchstaben nach angewandt, ersticken sie nicht nur sämtliche Originalität und Spontaneität, sondern das Leben selbst. Das Problem der Bürokratie ist ja nicht, dass die Beamten zu wenig arbeiten, sondern dass sie zu gut arbeiten. Schauen Sie die Fichenaffäre an: Hier hat eine Stelle einmal angeordnet, sämtliche Verdächtigen zu überwachen und die Ergebnisse in Fichen abzulegen. Das war zu jener Zeit vielleicht auch richtig und angemessen. Nur hat später keiner den zuständigen Beamten gesagt, dass sie jetzt wieder aufhören können. Und so wurde munter weiter gesammelt und weiter fichiert bis zum grossen Knall.
Es liegt in der Natur der Bürokratie, dass sie jeden möglichen Missstand, jeden Fehler durch ein System ersetzen will. Die zunehmende Bürokratisierung der Gesellschaft, der Wirtschaft, der Verwaltung und der Politik ist eine Folge der mangelnden Selbstverantwortung und der Angst vor dem Risiko.
In den wenigen Tagen, die ich bis jetzt im Amt als Bundesrat verbracht habe, ist mir schmerzhaft bewusst geworden, wie die perfekt ausgeklügelte Bürokratie in der Bundesverwaltung mit ihren fleissigen, korrekten, genauen Beamten den Bundesrat am Lösen der wichtigsten Probleme dieses Landes und damit am Regieren selbst hindert. Wir sind ununterbrochen mit der Bewältigung von aufgezwungenen Nebensächlichkeiten beschäftigt, sodass die entscheidenden Fragen liegen bleiben. Am Ende fehlen Zeit und Kraft, um sich zu überlegen: "Was ist das Wesentliche? Wo sind die grossen Probleme?" Doch genau darüber sollte ein Bundesrat mit seinen Kollegen, Amtsdirektoren und Mitarbeitern diskutieren, streiten und Vorschläge prüfen. Sind die wichtigsten Probleme erst einmal festgestellt, ist die halbe Arbeit getan und es können Lösungen erarbeitet werden.
IV. Eine richtungsweisende Wahl
Als wir uns vor einem Jahr hier im Albisgüetli versammelt haben, stand uns ein wichtiges, richtungsweisendes Wahljahr bevor. Mir war klar, dass die Parlamentswahlen 2003 die bedeutsamsten Wahlen für uns sein würden. Nur wenn die SVP kräftig zulegt, könnte sich für die Zukunft in unserem Land etwas ändern.
Ich sagte damals: "'Es taget vor dem Walde!' In Wirtschaft und Gesellschaft und bei den Leuten, die im Alltag, im Leben stehen, beginnt es zu tagen. Im Bundeshaus ist dies noch nicht der Fall. Da herrscht noch dunkle Nacht und tiefer Schlummer. Wecken wir sie auf durch die Wahlen 2003!"
Und wahrlich! Die Wahlen vom 19. Oktober 2003 haben nicht nur geweckt, sondern geradezu aufgeschreckt. Die SVP hat zum dritten Mal in Folge einen grandiosen Wahlsieg eingefahren. Es war ein unsanftes, aber nötiges Erwachen. Warum? Weil die Zeit der Träumereien vorbei ist. Weil man die Wirklichkeit nicht mehr schön reden konnte. Weil die Probleme zu offensichtlich sind. Weil die Milliardendefizite niemand mehr verleugnen kann. Weil die Leute genug davon haben, Probleme nur mit Geld statt mit Taten zu lösen. Zu lange ist man schönen Visionen nachgerannt und hat dabei die Arbeit vernachlässigt. Die SVP hat trotz Anfeindungen standhaft auf den bewährten liberalen und bürgerlichen Rezepten beharrt. Unsere Unabhängigkeit haben wir erkämpft und verteidigt. Auch gegen die Einheitspresse. Wir haben Nein gesagt, wo es nötig war und bessere Lösungen präsentiert. Wir haben eine deutliche Sprache gesprochen und uns nicht wie die anderen dem Konsensgeplauder angeschlossen. Die Bürgerinnen und Bürger haben erkannt, dass wir eine solide, verlässliche Politik vertreten. So hat die SVP die Wahlen 2003 gewonnen, weil die Menschen unsere unerschrockene Arbeit honoriert haben. Die Wählerinnen und Wähler verknüpfen mit der SVP die grosse Hoffnung, dass endlich wieder für jene Menschen politisiert wird, die unser Land voranbringen wollen. Und jetzt spürt man diese Erleichterung, diese Zuversicht täglich. Die Schweiz beginnt sich aus ihrer Erstarrung zu lösen und fasst neues Selbstvertrauen.
Seit dem 10. Dezember 2003 fühlt sich der leistungsbereite Mittelstand wieder im Bundesrat vertreten. Die Leute wollen Arbeit. Die Menschen wollen freie Entfaltung. Die Menschen leiden unter den hohen Krankenkassenprämien. Sie wünschen sich sichere Renten, sie fordern ein Ende der illegalen Einwanderung, und ihr Ärger gilt dem allgegenwärtigen Asylmissbrauch. Mit anderen Worten: Die Schweizerinnen und Schweizer wollen eine prosperierende Wirtschaft, denn nur sie kann für Wohlstand und Vollbeschäftigung sorgen. Zum anderen erwarten die Bürger, dass endlich gegen eklatante Missbräuche vorgegangen wird. Denn es ist stossend, jährlich Milliarden Steuern zu zahlen, nur weil sich gewisse Leute nicht an die Gesetze halten oder unser Sozialsystem ausnutzen. Eine grosse Mehrheit in unserem Land will das Gegenteil der ruinösen Umverteilungspolitik. Sie haben genug von Moralisten, die jeden Missstand totschweigen, der ihrem sozialromantischen Weltbild widerspricht. Die Leute haben die linken Schalmeiengesänge endgültig durchschaut, an deren Ende nur neue Steuern, neue Schulden, neue Sozialmissbräuche stehen.
V. Standhaftigkeit bringt Erfolg
Am 19. Oktober 2003 hat der Wecker geklingelt. Für die SVP war klar, dass es so wie bisher nicht mehr weitergehen kann. Über Jahre hinweg hat die SVP im Bundesrat das bürgerliche Feigenblatt gespielt. Man hat die SVP nach der 99er Wahl hingehalten, obwohl der Partei schon damals ein zweiter Bundesratssitz zugestanden wäre. Mit allerlei Ausreden, die monatlich wechselten, verweigerten die anderen Parteien der SVP den zweiten Sitz. Nach diesen Wahlen mussten wir deshalb für bereinigte Verhältnisse sorgen. Wir wollten unsere Politik, den Wählerauftrag, so gut wie möglich umsetzen. Die Zeit der halbbatzigen Lösungen war definitiv abgelaufen.
Für mich geht in diesem Jahr ein langes Kapitel in der politischen Arbeit zu Ende. Nach sechsundzwanzig Jahren gebe ich das Präsidium der SVP-Kantonalpartei ab. In diesen Jahren hat sich unsere Partei, ausgehend von Zürich, gesamtschweizerisch enorm gewandelt. Von einem kleinen, eher belächelten Anhängsel, ist die SVP zur bestimmenden bürgerlichen Kraft im Land gewachsen. Dieser Aufstieg hat verschiedene Gründe. Mit Ausnahme unserer Partei gab es wenige Politiker, die sich dem Medien- und Meinungskonsens zu widersetzen wagten. Die SVP hat die Dinge beim Namen genannt - ungeachtet der Journalistenprügel. Der Zeitgeist strebte nach Grösse und suchte auch politisch den Anschluss an ein Supergebilde. In der Wirtschaft ist die Zeit des Grössenwahns vorbei. In der Politik dauert naturgemäss alles etwas länger. Aber der Glanz der Europäischen Union ist ziemlich verblasst. Die Osterweiterung hat weit mehr Querelen als Enthusiasmus hervorgerufen. In der Schweiz besinnt man sich wieder auf die eigenen Stärken. Auch junge Wirtschaftsleute setzen ganz auf Schweizer Qualitäten. Kürzlich meinte der neue, gerade mal 31-jährige Denner-Chef: "Wir Schweizer müssen vom hohen Ross runterkommen und zu unseren Tugenden zurückkehren: Fleiss, Bescheidenheit, Dienstbereitschaft, Disziplin. So ist die Schweiz gross geworden." (Philipp Gaydoul im "Blick", 31.12.2003) Die Stimme eines Jungen!
Bürgerliche Tugenden sind nie veraltet. Darum sind wir eine liberalkonservative Partei. Wir geben der Wirtschaft und den Menschen die Freiheit, sich zu entfalten. Gleichzeitig prüfen wir - und das ist der konservative Zug -, ob das Neue wirklich besser ist als das Bisherige. Dieses Denken hat mich in die Politik geführt und seither immer bestimmt.
VI. Ein Rückblick
Erstmals richtig politisch aktiv wurde ich in meiner damaligen Wohngemeinde Meilen. Wir waren noch nicht einmal drei Monate dort ansässig, als es um das Einzonen eines gewaltigen Areals für die Alusuisse ging. Wir fanden das Projekt für eine so ländliche Gegend völlig überrissen, obschon sich viele Bürger Geldsegen versprachen. Es ergab sich, dass ich zum Wortführer der Gegner wurde. Es strömten damals fast dreitausend Menschen an diese Gemeindeversammlung, und wegen des grossen Aufmarsches musste die Diskussion mit Lautsprechern in eine zweite Turnhalle übertragen werden. Als ich dann zum zweiten Mal das Wort ergriff, gingen dem damaligen Gemeindepräsidenten und LdU-Nationalrat Theodor Kloter die Nerven durch. Er raunte seinem Nachbarn zu: "Jetzt schnurred dä Tubel scho wider." Dummerweise waren die Mikrofone eingeschaltet und alle konnten die Bemerkung des Gemeindepräsidenten in der anderen Turnhalle hören. Ich liess mich wegen der Massregelung nicht verdriessen und sprach trotzdem. Wir haben übrigens damals die Abstimmung verloren. Aber gebaut wurde das Alusuisse-Center trotzdem nicht. Das zeigt: Nicht jede Niederlage bleibt eine Niederlage.
In dieser Zeit pilgerten mehrere Parteien zu mir und wollten mich für eine Mitgliedschaft gewinnen. Ausser den Sozialdemokraten: sie sparten sich den Weg, auch wenn sie sonst nicht viel fürs Sparen übrig haben. Ich entschied mich damals für die SVP, weil mir als gelernter Landwirt die Bauern- und Gewerbepartei am nächsten stand und weil sie nicht den damaligen Standesdünkel anderer Parteien verströmte.
Bald wurde ich in den Gemeinderat gewählt. Ein Jahr später - 1975 -, ich war eben erst in den Kantonsrat gewählt, trat ich gegen das zürcherische Planungs- und Baugesetz und damit auch gegen den damaligen SVP-Regierungsrat und Baudirektor Alois Günthart an. Schon damals sperrte die NZZ unsere Inserate, weil sie nicht ihren politischen Auffassungen entsprachen. Aufgrund der Meinungsunterschiede wollte mich der Baudirektor aus der Partei ausschliessen. Wir verloren diese Abstimmung, und der SVP-Baudirektor prophezeite den drei gegnerischen Kantonsräten - Rudolf Reichling, Albert Sigrist (FDP) und mir - das Ende der politischen Karriere. Es kam etwas anders: Albert Sigrist wurde Regierungsrat, Rudolf Reichling Nationalratspräsident und Christoph Blocher Bundesrat. Politiker waren schon immer schlechte Propheten. Was hat mich diese Episode gelehrt? Man muss seinen Weg konsequent gehen, auch wenn eine Niederlage droht. Man muss seiner Meinung treu bleiben, selbst wenn sie verteufelt wird. Auch dann, wenn andere sagen: "Jetzt schnurred dä Tubel scho wider." Nicht eine Meinung zu haben, ist der Tod in der Politik, sondern wenn man aus Opportunismus nachgibt. Übrigens, Alois Günthart wurde später einer meiner engsten Weggefährten.
1977 bin ich dann Präsident der SVP Zürich geworden. Verschiedene Personen wollten meine Wahl verhindern. An der entscheidenden Delegiertenversammlung votierte ich vergeblich gegen die neue Finanzordnung, welche das Volk dann später ablehnte. Meine Gegner sagten, es könne einer nicht Kantonalpräsident werden, wenn er in Sachfragen eine andere Meinung vertrete. Bis weit über Mitternacht diskutierten die Anwesenden, ob sie mich oder den Gegenkandidaten zum Präsidenten wählen sollten. Schliesslich stellte ich einen Ordnungsantrag: Man könne jetzt nicht mehr weiter diskutieren. Meine Frau, die mich begleitet hatte, müsse nach Hause. Dort warte ein vier Monate altes Kind, das gestillt werden müsse, sonst verhungere es. Ich sagte: "Mir ist das Überleben meines Kindes wichtiger als dieses höchst ehrenvolle Parteiamt." Dieses Votum gab den Ausschlag. Die Versammlung drängte zur Abstimmung, und ich wurde überraschend deutlich gewählt. Es war nicht das erste Mal, dass mich meine Frau begleitet hat. Und nicht das letzte Mal. Sie hat in all den Jahren gemeinsam mit mir viele Kämpfe durchgefochten, Niederlagen verdaut, Erfolge gefeiert und mich und die Zürcher SVP weiter gebracht. Sie hat mich auch in den letzten Monaten vor der Bundesratswahl bestärkt und auch heute ist sie anwesend. Herzlichen Dank, liebe Silvia!
Die SVP ist ja bekanntlich aus der Bauernpartei hervorgegangen. In einzelnen Kantonen konnte sie auf eine lange Tradition zurückschauen. Sie war aber thematisch eng begrenzt. Ich erinnere mich, wie ich in der Anfangszeit meines Präsidiums Weinländer Ortssektionen besuchte. Auf der Traktandenliste der Bezirkspartei wurden zwar auch die Abstimmungsparolen behandelt. Mit weit grösserer Inbrunst aber befassten sich die Delegierten mit der kommenden Bezirksviehschau. Partei, Milch- und landwirtschaftliche Genossenschaften bildeten eine Einheit. Wir haben dann im Kanton Zürich begonnen, das Programm zu erweitern. Wir haben uns insbesondere auch um die Finanz-, Wirtschafts- und Aussenpolitik gekümmert und sind mittlerweile zur führenden Wirtschaftspartei geworden. Das war eine zähe und aufreibende Arbeit. Man muss eine gewisse Hartnäckigkeit entwickeln in der Politik. Meine Frau war oft am Verzweifeln, wenn sie hörte, wie nach langer Arbeit irgend ein kläglicher Gewinn eines einzigen Kantonsratssitzes oder wenigstens ein "Halten der Sitze" vermeldet werden konnte. So viel Arbeit - so wenig Erfolg! Hartnäckige Kleinarbeit, nicht nur gegen aussen, sondern fast noch mehr nach innen. Die Bequemlichkeit ist der grösste Feind einer Partei. Auch wir hatten und haben die Tendenz, uns mit einem gut formulierten Wahlprogramm zufrieden zu geben. Aber das Wahlprogramm ist das eine, die politische Arbeit das andere. In der Politik gibt es den Drang zum Grundsätzlichen, bloss um dem Konkreten zu entfliehen. Ich will Ihnen das an einem Beispiel verdeutlichen und zwar an einer Begebenheit aus unserer Partei, die ein paar Jahre zurückliegt, aber nichts an ihrer Aktualität eingebüsst hat.
Schon damals galt für uns: "Nur so viel Staat wie nötig - aber so viel Freiheit wie möglich." Auch die Programmkommission unserer Partei verschrieb sich diesem Grundsatz und führte vorbildlich gleich einige konkrete Privatisierungsvorschläge an: etwa den Lehrmittelverlag, die Staatskellerei, die Zentralwäscherei... Anschliessend beriet der Parteivorstand sorgsam den Programmentwurf und lobte die Grundsätze. Die Damen und Herren waren sich wohltuend einig - bis man auf die konkreten Beispiele zu sprechen kam. Da erhob sich ein angesehener Lehrer, zeigte den Mahnfinger und sprach: Er sei gewiss der Letzte, der gegen Privatisierungen antrete. Aber ausgerechnet beim Lehrmittelverlag anzufangen, dieser sinnvollen und traditionellen Institution, sei nun wirklich das Verkehrteste. Als es um die Staatskellerei ging, meldete sich ein ehrwürdiger Rebbauer. Er habe das Privatisieren schon mit der Muttermilch aufgesogen. Aber doch nicht ausgerechnet die Staatskellerei, der die Weinbauern so viel zu verdanken hätten! Beim Thema Zentralwäscherei erhob der tüchtige Verwalter eines Regionalspitals die Stimme und versicherte, wenn einer etwas von Privatisierung verstehe, sei er es. Aber es gehe keinesfalls an, die so nützliche und effiziente Zentralwäscherei zu privatisieren. Kein einziges der genannten Beispiele überlebte die Sitzung. Am Schluss einigte man sich auf den leeren Programmgrundsatz: "Nur so viel Staat wie nötig - aber so viel Freiheit wie möglich. Die Privatisierungen sind mit aller Kraft voranzutreiben."
Meine Damen und Herren, die Programme aller Parteien strotzen von solchen Grundsätzen. Nur fehlen die Taten. Für die Bürger zählen aber nur diese. Das Konkrete ist massgebend. Sonst verlieren die Wähler, die Leute und das Volk immer mehr das Vertrauen in die Politik und die Politiker, weil Programme und Taten nicht mehr übereinstimmen.
VII. EWR als Wendepunkt
Der eigentliche Wendepunkt für die SVP war die wichtigste aussenpolitische Abstimmung des letzten Jahrhunderts: Die EWR-Abstimmung von 1992. Noch selten hat es eine Vorlage gegeben, für die sich sämtliche Verbände, sämtliche Parteien, der Bundesrat, alle Kantonsregierungen, die ganze Wirtschaft, die Gewerkschaften, das Establishment so geschlossen und mit einem derart grossen Aufwand eingesetzt haben. Mit praktisch allen Medien, den Zeitungen und dem Fernsehen im Rücken. Die Meinungseliten erklärten die EWR-Abstimmung zur Vertrauensabstimmung schlechthin. Und dann verloren sie diese Abstimmung. Aber das Vertrauen verloren die Befürworter erst später, dann nämlich, als Bundesrat und Parlament den Volksentscheid nicht respektierten. Statt sich der Realität zu beugen, versuchten sie, die Schweiz mit allerlei Massnahmen für den EU-Beitritt gefügig zu machen. Dazu gehörte auch die permanente Verunglimpfung unserer Partei und ihrer Vertreter. Das hat die SVP aber nur stärker gemacht. Für Windfahnen und Wendehälse war fortan in der SVP kein Platz mehr. Wer in der SVP politisieren wollte, musste für seine Überzeugungen hinstehen und hatte diese nach allen Seiten zu verteidigen. Dies schuf aber Vertrauen und Respekt in der Bevölkerung. Warum war der Urnengang vom 6. Dezember 1992 so entscheidend für die Schweiz?
- Das EWR-Nein verhinderte den bereits anvisierten EU-Beitritt mit all seinen negativen Folgen.
- Das EWR-Nein verhinderte einen unwürdigen Kolonialvertrag, bei dem die Schweiz auch künftiges EU-Recht widerspruchslos hätte übernehmen müssen.
- Das Nein zum EWR-Vertrag ermöglichte, dass die Schweiz gerade ausserhalb von EWR/EU ihren Wohlstand und ihre Unabhängigkeit besser bewahren konnte. Die vormals EU-begeisterte Wirtschaft beurteilt heute eine EU-Mitgliedschaft klar negativ. Ohne EWR-Nein wäre diese Neueinschätzung nicht möglich gewesen.
In diesem Zusammenhang war für alle klar: Es gab und gibt nur eine Partei, die sich bedingungslos für die Eigenständigkeit, für den schweizerischen Weg in Europa und der Welt einsetzt: Die SVP. Das haben die Wählerinnen und Wähler erkannt und 1995, 1999 und im letzten Jahr in eindrücklichen Wahlen bestätigt.
VIII. Die bürgerliche Wende vollziehen
Es hat immer wieder Phasen gegeben, in denen sich das Volk und die Oberen uneinig waren. Der Mitbegründer der "Weltwoche", Karl von Schumacher, hat in einem Artikel aus dem Jahr 1940 deutlich gemacht, dass er im Zweifelsfall die Volksmeinung vorzieht: "Wenn es zu Meinungsverschiedenheiten zwischen dem Schweizer Volk und seiner Regierung kommt, zeigt es sich zuletzt fast immer, dass der einfache Mann die Dinge richtiger erkannt hat als der, der oben steht. Das ist gar nicht so unerklärlich. Es gibt eben nicht nur den Verstand, sondern auch einen politischen Instinkt, der sehr oft beim einfachen Mann besser entwickelt ist als beim Gebildeten, der nur zu oft ein Verbildeter ist." ("Die Weltwoche", 2.5.2002)
Meine Damen und Herren, freuen wir uns über den grossen Sieg der SVP in den letzten Wahlen. Aber in die Freude mischt sich auch Vorsicht, diesen Sieg zu verspielen.
Als Hannibal über die Alpen gezogen war und einen triumphalen Sieg gegen das römische Heer errungen hatte, drängten ihn seine Offiziere dazu, möglichst rasch Rom anzugreifen. Doch Hannibal zauderte und lehnte ab. Sein Reiterführer soll darauf gesagt haben: "Zu siegen verstehst du, den Sieg zu nutzen verstehst du nicht." ("Die Weltwoche", 1.1.2004)
Nach meiner Wahl zum Bundesrat haben mir unendlich viele Bürgerinnen und Bürger nicht einfach nur gratuliert, sondern vor allem ihre Erwartungen ausgedrückt und viel Kraft fürs neue Amt gewünscht, wohl im Wissen darum, dass ich keine einfache Stellung haben werde und mir viele Widerstände in meiner neuen Tätigkeit erwachsen. Für dieses Vertrauen und die Unterstützung danke ich und zähle auch auf Sie, meine Damen und Herren. Ich versichere Ihnen, von meiner Seite werde ich mein Bestes geben, um Sie nicht zu enttäuschen. Hoffen wir, es möge später einmal heissen: Sie haben nicht nur verstanden zu siegen, sondern auch verstanden, den Sieg zu nutzen zum Wohl unseres Volkes und unseres Landes
16.01.2004
Una valutazione politica della situazione in occasione della 16esima assemblea dell'Albisgüetli dell'Unione democratica di centro del Canton Zurigo
16.01.2004, Zurigo
Vale il testo parlato
03.12.2003
Interview dans «Le Temps» du 3 décembre 2003
A une semaine de l'élection du Conseil fédéral, Christoph Blocher a donné une interview exclusive au Temps. Il s'exprime sur la manière dont il entend défendre ses convictions au gouvernement s'il y accède. Et sur la stratégie que suivra son parti, l'UDC, si sa candidature devait être rejetée. Le moment est venu pour la classe politique, dit-il, de choisir clairement entre un système de concordance et un régime de coalition.
Interview: Jean-Jacques Roth et Titus Plattner
Le Temps: Vous deviez, ce mardi, parler au groupe parlementaire démocrate-chrétien. Pour lui dire qu'il doit vous choisir à la place de l'un de ses deux propres conseillers fédéraux?
Christoph Blocher: Ils me demanderont sans doute si je suis prêt à me présenter au poste de Kaspar Villiger, puisque tel est leur vœu. Et je leur expliquerai pourquoi c'est impossible, dans la mesure où la composition du Conseil fédéral doit obéir à la concordance arithmétique. Celle-ci implique qu'ils renoncent à un de leurs sièges. Ce choix n'est pas dirigé contre eux, il répond à une exigence de crédibilité: le PDC est devenu le plus petit des quatre partis gouvernementaux, il faut respecter les électeurs.
La perspective de votre élection au Conseil fédéral fait craindre une rupture de la collégialité et du consensus. Lors des auditions devant les partis, il était question de vous demander des garanties.
Blocher: Allons donc! Je les donne sans problème. J'ai appartenu à toutes sortes de collèges sans y rencontrer le moindre problème. Bien sûr, je veux m'engager avec toute mon énergie et toutes mes convictions au Conseil fédéral. Je défendrai mes points de vue sans faiblesse. Mais je ne détiendrai pas la majorité à moi tout seul! Nous chercherons des compromis, nous voterons.
Et vous vous engagerez avec la même détermination pour défendre une position gouvernementale que vous n'auriez pas souhaitée?
Blocher: Non. D'ailleurs j'observe que les autres ne le font déjà pas. Je sais toujours, à voir sa réaction, quelle était la position d'un conseiller fédéral. Quand on a perdu, on défend la position du collège avec loyauté, mais on ne tente pas de faire croire que c'est par conviction profonde. Sinon, on introduit le mensonge et l'hypocrisie dans la plus haute sphère d'autorité.
Certains conseillers fédéraux, dans le passé, ont rompu la collégialité pour exprimer une conviction intime. Y seriez-vous prêt?
Blocher: Dans des cas extrêmes, et seulement avec l'autorisation du Conseil fédéral. Si, par exemple, le gouvernement décidait d'ouvrir des négociations d'adhésion avec l'Union européenne, je ne pourrais pas me taire. Cette affaire représente un combat de dix ans. Il me serait impossible de dire que cette décision correspond à ma conviction profonde!
Si vous êtes élu, vous affronterez une énorme pression. De quelle manière visible et rapide allez-vous répondre à l'attente de changement exprimée par vos électeurs?
Blocher: Il est de l'intérêt supérieur du gouvernement de sentir que le peuple est derrière lui, d'avoir des conseillers fédéraux capables de communiquer et d'entraîner l'adhésion populaire. J'observe par ailleurs une extraordinaire attente populaire, et un soutien chaque jour croissant à ma candidature. Cela dit, même si je gouvernais seul, je serais bien incapable de combler toutes les attentes. Et puis il y a les compromis, le poids de l'administration... Je suis conscient de toutes ces limites. Mais je pense que le Conseil fédéral peut gagner avec mes compétences de chef d'entreprise et avec ma connaissance des réalités économiques.
Vous dites vouloir gouverner de manière créative et constructive. Avez-vous des idées concrètes pour illustrer cet objectif?
Blocher: Le plus gros problème du pays, c'est les dépenses publiques. Depuis cinquante ans, nous avons tout résolu avec de l'argent. Aujourd'hui, l'argent n'est plus là. Mais pour changer de cap, il faut une méthode. Je suggère que le Conseil fédéral entreprenne un vaste examen de toutes les options d'économies, de manière résolue et concertée. Il n'est pas question de déterminer à l'avance où couper, mais de créer un climat de travail créatif, tendu vers la recherche de solutions plutôt que par le débat idéologique. Il faudrait désigner un conseiller fédéral comme chef de projet. C'est un processus immense et un vrai combat. Je me mettrai à disposition si cela est souhaité par le collège. Bien sûr, en définitive, lorsqu'il s'agit de décider des coupes budgétaires, les choix politiques sont déterminants. Mais pas toujours. Prenons la recherche et la formation, où l'on dit qu'il faut augmenter les dépenses de 6%. Mais nous n'en avons pas les moyens! Il faut donc avoir le courage de dégager des priorités. Est-il pertinent, par exemple, de financer une recherche fondamentale dans le domaine de l'énergie nucléaire alors que nous ne construirons probablement plus de centrale nucléaire? Et si nous en avions besoin, n'y a-t-il pas assez de compétences dans d'autres pays pour nous permettre de le faire?
Il s'agirait d'un audit?
Blocher: En quelque sorte, mais il faut d'abord réfléchir entre conseillers fédéraux. Je crois beaucoup aux vertus du «brainstorming». Il n'est en tout cas pas question de faire appel à des consultants, qui ne connaissent pas les choses de l'intérieur et qui ne peuvent que proposer, jamais décider. Nous devons conduire ce travail nous-mêmes.
Quelle en serait la durée?
Blocher: Entre six mois et un an. L'administration nous dira qu'il faut plus de temps, mais je ne vois pas pourquoi il faudrait tarder. C'est une question de courage politique: les éléments budgétaires sont connus.
Comptez-vous réduire les effectifs de l'administration?
Blocher: Les effectifs sont sans doute trop élevés. Et il y a trop de tâches inutiles, ce qui altère le climat de travail. Le principal problème, c'est que, souvent, les gens ne sont pas dirigés. Pour le reste, j'estime que l'administration est d'un bon niveau.
De hauts fonctionnaires, en privé, se disent prêts à démissionner si vous devenez leur patron.
Blocher: Ah bon... Nul n'est irremplaçable. Mais personne n'a quoi que ce soit à redouter aussi longtemps qu'il remplit correctement sa fonction. Ce qui n'est pas acceptable, c'est un chef d'office qui s'exprime publiquement contre une décision du Conseil fédéral, comme on l'a vu à l'Office fédéral de l'environnement. Une telle attitude serait impensable dans toute entreprise.
Comment se comportera votre parti si vous êtes élu?
Blocher: Il gardera sa ligne politique, avec bien entendu une autre attitude. Si le Conseil fédéral fait un meilleur travail, les capacités de compromis augmenteront.
A quels compromis êtes-vous prêt?
Blocher: Je ne m'exprime pas à ce propos. Un compromis représente l'aboutissement d'une négociation, pas son préalable. C'est donc possible, aussi avec les socialistes, car les bons compromis naissent de positions claires.
Y a-t-il des domaines où vous excluez un compromis?
Blocher: Tout n'est pas affaire de compromis au gouvernement. Il y a aussi des votes, avec une majorité et une minorité. Evidemment, s'il est question d'adhérer à l'Union européenne, il ne faut pas attendre de compromis de ma part. Encore que j'en aie proposé un après la votation sur l'EEE, sous la forme d'un moratoire de cinq ans sur la question européenne. J'étais le vainqueur, pourtant. Et puis, il y a d'autres formes de compromis. Par exemple, je ne doute pas que Micheline Calmy-Rey soit en faveur de l'entrée de la Suisse dans l'Union européenne. Mais elle sait que les temps ne sont pas mûrs et que le peuple suisse n'y est pas prêt. Voilà une bonne formule de compromis. Peut-être que nous pourrions nous retrouver sur un moratoire de 10 ou 15 ans.
Vous évoquez toujours le devoir, en disant que ce devoir vous pousse à vouloir. Avez-vous envie d'entrer au Conseil fédéral?
Blocher: J'ai la conviction qu'avec une autre politique, ce pays irait beaucoup mieux. Je me suis battu pour cela durant vingt-quatre ans, sans désirer tel ou tel poste. J'ai consenti aujourd'hui qu'il est nécessaire que j'entre au Conseil fédéral, mais bien des aspects de la fonction ne sont pas motivants. Les contraintes, l'administration, ses lourdeurs... Cela dit, j'ai aussi l'envie de changer les choses, d'influencer; et cela, oui, ça me fait évidemment plaisir.
Combien de temps voulez-vous siéger au Conseil fédéral?
Blocher: Je vise une période de huit ans. Douze ans, ce serait encore mieux... J'aurais alors 75 ans, ce n'est pas si vieux. Konrad Adenauer a quitté son poste de chancelier à 87 ans, où il avait commencé à 73 ans. Tout le monde voit bien que j'ai en tout cas l'énergie nécessaire.
Votre femme dit que vous aurez la vie plus facile si vous entrez au gouvernement.
Blocher: C'est un énorme travail, rempli de contraintes. Mais c'est un travail constructif. Dans l'opposition, vous ne pouvez que freiner, bloquer et critiquer du matin au soir. Vous ne pouvez jamais apporter quelque chose de créatif. Nous avons fait cela pendant presque dix ans. Depuis 1992, lors du vote sur l'EEE, nous sommes dans l'opposition sur pratiquement toutes les questions importantes.
On s'imagine d'ailleurs mal comment vous pourriez faire encore plus d'opposition.
Blocher: Je vous assure que nous pourrions en faire davantage. Il faudrait pour cela modifier les structures de l'UDC, en termes de personnel et de ressources financières. En janvier prochain, si on devait nous refuser nos deux sièges, nous déciderions de tout cela lors d'une assemblée du parti. Nous devrions par exemple créer une structure pour l'organisation de référendums, afin de les faire aboutir rapidement et en engageant relativement peu de moyens. Les syndicats, il y a une dizaine de jours, ont jugé phénoménal de recueillir autant de signatures en 48 heures contre la 11e révision de l'AVS. C'est une question d'organisation: lorsque vous avez 1000 personnes prêtes à la récolte, c'est facile.
Travailleriez-vous à plein temps pour le parti?
Blocher: Peut-être pas au début, mais cela se transformerait sans doute assez rapidement en un plein temps.
Engageriez-vous plus de moyens financiers personnels?
Blocher: Sans doute. Mais au cas où nous aurions à combattre pour des raisons économiques, beaucoup d'entreprises seraient là pour nous soutenir. De plus en plus de chefs d'entreprise en ont plein le dos.
Vous avez dit vous intéresser aux départements qui exigent un savoir-faire économique. Mais les autres conseillers fédéraux pourraient vous proposer le Département de justice et police, afin de mieux vous museler...
Blocher: Même dans ce département, il y aurait certainement beaucoup de choses intéressantes à faire, notamment en matière de politique d'asile.
Et qu'y feriez-vous de différent que Ruth Metzler?
Blocher: Nos propositions dans ce domaine sont claires. Il faudrait combattre les abus de façon beaucoup plus déterminée et appliquer la clause de l'Etat tiers de manière plus stricte. Mais il existe aussi d'autres modèles intéressants, comme celui de Tony Blair, qui propose la création de camps de réfugiés dans les régions voisines des zones de conflit. Durant la guerre au Kosovo, j'ai du reste proposé que l'on finance une telle structure en Macédoine, et que l'on examine là-bas les demandes d'asile. Pour le reste, les propositions de l'UDC sont toutes dans nos initiatives sur l'asile, que j'approuve.
Quelle différence politique faites-vous aujourd'hui entre les radicaux et le PDC?
Blocher: Jusqu'aux élections, les deux partis ont fait la course au centre. Et tout d'un coup, on dit que le PDC est à gauche, que les radicaux sont proches de l'UDC. Tout cela est fantaisiste. Si ces deux partis étaient capables de se mettre d'accord sur ce qu'ils veulent, il serait possible de discuter. Ce n'est hélas pas le cas. La réalité, c'est que le PDC, avec 14% des voix, pèse la moitié de l'UDC. Il faut en tirer les conséquences.
La concordance est-elle une notion purement arithmétique, ou a-t-elle un sens politique?
Blocher: Clarifions les choses une bonne fois pour toutes. Soit on choisit un système de concordance, où les trois partis les plus forts ont deux sièges et le plus petit des quatre un seul, soit trois partis décident de former un gouvernement de coalition, à partir d'un programme commun. Si le PDC décide qu'il est au centre gauche et qu'il veut faire alliance avec les Verts et les socialistes, ce qui lui donnerait une majorité parlementaire, il faut un gouvernement de gauche. L'UDC et les radicaux – ce serait logique – doivent en sortir et nous entrerons dans un régime de coalition. La concordance, c'est autre chose. C'est le choix de quatre partis de gouverner ensemble avec des visions et des programmes différents. Nous y sommes attachés et nous avons fait de bonnes expériences avec.
Mais vous pourriez obtenir beaucoup plus de résultats dans une coalition de centre droit...
Blocher: C'est évident.
Alors pourquoi défendez-vous en premier lieu la concordance?
Blocher: Nous y avons énormément réfléchi. Dans une période de crise, les pays qui connaissent un système majorité-opposition ont recours à de grandes coalitions. Il s'agit de se serrer les coudes. Nous n'avons pas de guerre ou de grave crise en Suisse, mais nous devons résoudre des problèmes fondamentaux. Je pense que cet objectif est plus facile à atteindre si les quatre partis les plus forts sont au gouvernement. En plus, tous les conseillers fédéraux actuels viennent d'un système de concordance. Pour un gouvernement de coalition, il faudrait probablement d'autres conseillers fédéraux, parce que le système de gouvernement serait tout à fait différent. Pour ces deux raisons, nous avons tranché en faveur de la concordance. Mais pour la vraie concordance. C'est-à-dire que chaque parti propose celui qui le représente le mieux. Si toutefois ce système ne devait pas fonctionner, nous avons clairement affirmé que notre deuxième priorité, décidée le week-end dernier à Sempach, irait à la constitution d'un gouvernement bourgeois.
Le soir du 19 octobre, aviez-vous déjà élaboré cette solution de rechange?
Blocher: Oui, mais toujours comme une deuxième priorité. Nous ne l'avons pas annoncé à ce moment car nous nous sommes dit que si les autres partis étaient pour la concordance, nous n'aurions pas à proposer cette alternative. Mais au cours de ces trois dernières semaines, les socialistes se sont fortement prononcés contre ma candidature, si bien que j'ai remis sur la table la possibilité d'un gouvernement bourgeois. Cela implique que je sois candidat contre Micheline Calmy-Rey au cas où les deux conseillers fédéraux démocrates-chrétiens restent en place. Les radicaux et les démocrates-chrétiens devront alors choisir entre une coalition de droite ou de gauche. On saura ainsi clairement qui est avec qui.
Les partis ont-ils décidé d'une stratégie pour éviter un tel chaos?
Blocher: A ma connaissance, non. Mais pour nous, le déroulement du vote est désormais clair. Les partis se rencontreront une nouvelle fois ce jeudi, et l'on saura si quelqu'un renonce encore à quelque chose. En réalité, nous espérons tous que le PDC finira par retirer l'un de ses conseillers fédéraux.